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VI MEDITAZIONE (b)

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Messaggio Da Admin - AnnaGarofalo Gio Mag 01, 2008 2:20 pm

11. Per quanto poi riguarda le cose restanti che o sono soltanto particolari, come che il sole sia di tale grandezza e figura ecc., o comprese meno chiaramente, come la luce, il suono, il dolore e simili, sebbene siano molto dubbie e incerte, questa stessa riflessione, che Dio non sia fallace, e che perciò non può accadere che alcuna falsità si trovi nelle mie opinioni, senza che vi sia in me anche una certa facoltà data da Dio per correggerla, mi fa nascere una certa speranza di conseguire anche in questo campo la verità. Certo non vi è dubbio che tutte quelle cose su cui sono ammaestrato dalla natura abbiano in sé una parte di verità; per natura infatti, guardata generalmente, ora non intendo null'altro che proprio Dio, lui stesso, o il complesso ordinato delle cose create costituito da Dio; e non intendo altro per natura mia in particolare che il complesso di tutte quelle cose che mi sono state attri buite da Dio. 12. Non vi è nulla poi che questa natura mi insegni in maniera più evidente che il fatto che ho un corpo, che sta male quando sento un dolore, che ha bisogno di cibo e di bevanda, quando soffro la fame e la sete e cose simili, né quindi debbo dubitare che in esso non vi sia una qualche verità. 13. [81] Infatti la natura mi insegna, attraverso queste sensazioni di dolore, di fame, di sete ecc., che io non tanto mi trovo nel mio corpo come un marinaio si trova nella nave, ma che sono collegato a quello in modo strettissimo e quasi confuso, in modo tale da costituire quasi una sola cosa con quello. Altrimenti, infatti, quando il mio corpo è colpito, io, che non sono nient'altro che una cosa che pensa, non sentirei perciò dolore, ma afferrerei questa lesione col puro intelletto, come il marinaio percepisce con la vista se qualcosa si spezza nella nave; e quando il corpo ha bisogno di cibo o di bevanda, capirei espressamente questa mia necessità, non avrei delle sensazioni confuse di fame e di sete. 14. Certamente queste sensazioni di sete, di fame, di dolore ecc. non sono altro che alcuni modi confusi di pensare, nati dall'unione e quasi dalla mescolanza della mente col corpo. Inoltre sono anche ammaestrato dalla natura che esistono attorno al mio corpo altri corpi, alcuni dei quali devo cercare di raggiungere, altri evitare. Certamente, per il fatto che avverto molte diverse specie di colori, suoni, odori, sapori, e anche calore, durezza e simili, concludo giustamente che nei corpi, da cui provengono queste varie percezioni dei sensi, vi sono delle varietà ad esse corrispondenti, anche se forse non sono ad esse simili; e per il fatto che alcune di queste percezioni mi sono piacevoli, altre spiacevoli, è sicuramente certo che il mio corpo, o piuttosto tutto me stesso, in quanto sono composto di corpo e di mente, può essere fatto oggetto di vari benefici e danni dai corpi che lo circondano. 15. [82] Ci sono poi molte altre cose che, anche se sembra che io sia stato ammaestrato dalla natura, non ho ricevuto in realtà da essa, ma da una certa consuetudine di giudicare in maniera sconsiderata, e perciò accade facilmente che siano false; come che tutto lo spazio, in cui non si presenta niente che muova i miei sensi, sia vuoto; che in un corpo caldo, ad esempio, vi sia qualcosa di assolutamente simile all'idea di calore che è in me, in un corpo bianco o verde vi sia la stessa bianchezza o colore verde che avverto; in un corpo amaro o dolce lo stesso sapore, e così per il resto; che gli astri e le torri, e qualsivoglia altro corpo lontano, siano soltanto di quella grandezza e figura che mi rappresentano i miei sensi, e altre cose di tal genere. Ma, perché le mie percezioni a questo proposito siano abbastanza distinte, devo definire in maniera più accurata che cosa propriamente intenda, quando affermo che in qualcosa sono ammaestrato dalla natura. Certo qui intendo la natura in maniera più limitata che riguardo al complesso di tutte quelle cose che mi sono attribuite da Dio; in questo insieme infatti sono contenute molte cose che riguardano solo la mente, come il fatto che percepisco che ciò che è compiuto non può essere non realizzato e tutte le altre cose che sono note secondo il lume naturale, di cui qui non si parla; molte cose anche che riguardano solo il corpo, come il fatto che tenda in basso per la sua pesantezza e cose simili, di cui non parlo, perché solo per quelle cose che mi sono state date da Dio, in quanto unione di mente e di corpo. Perciò questa natura insegna certo a sfuggire quelle cose che portano un senso di dolore, ed a cercare quelle cose che ci portano un senso di piacere e simili; ma non appare che essa inoltre ci insegni quali conclusioni trarre riguardo alle cose, poste fuori di noi da queste percezioni dei sensi, senza il precedente esame dell'intelletto, perché il conoscere la verità riguardo ad esse sembra spettare [83] alla sola mente, non alla sua unione col corpo. Così, sebbene una stella non colpisca il mio occhio più che il fuoco di una piccolissima fiaccola, tuttavia in esso non c'è nessuna propensione reale o positiva a credere che essa non sia più grande; ma questo l'ho giudicato fin dai miei primi anni, pur senza alcun ragionevole fondamento; sebbene avvicinandomi al fuoco avverta il calore, come anche avvicinandomi troppo ad esso sento il dolore, assolutamente non c'è alcun motivo che mi persuada che nel fuoco ci sia qualcosa di simile a questo calore e neppure a questo dolore, ma che in esso vi sia soltanto qualcosa 3/4 qualunque cosa esso sia 3/4 che susciti in noi queste sensazioni di calore o di dolore. Sebbene anche in qualche spazio non vi sia nulla che colpisca i sensi, non ne consegue che in esso non vi sia nessun corpo. Vedo però che io in questi ed in moltissimi altri casi sono solito turbare l'ordine della natura. Delle percezioni dei sensi infatti (che propriamente dalla natura sono state date soltanto per comunicare alla mente quali cose all'insieme 3/4 di cui è parte 3/4 siano giovevoli o non giovevoli, e fino a che punto sono abbastanza chiare e distinte) mi servo come regole certe per conoscere immediatamente quale sia l'essenza dei corpi posti fuori di noi, riguardo a cui tuttavia non segnalano nulla se non in modo completamente oscuro e confuso. 16. Eppure già prima ho visto abbastanza bene in quale modo, nonostante la bontà di Dio, accada che i miei giudizi siano falsi. Ma qui mi si presenta una nuova difficoltà riguardo a quelle cose che mi vengono presentate dalla natura come desiderabili o dannose, ed anche riguardo ai sensi interni, nei quali sembro aver trovato degli errori: come quando qualcuno, ingannato dal grato sapore di qualche cibo, assume il veleno che vi è nascosto dentro. [84] Tuttavia viene allora spinto dalla natura a ricercare solo ciò in cui si trova un sapore gradito, ma non il veleno, che assolutamente ignora; e da ciò non si può concludere null'altro, se non che la natura stessa non sa tutto; e dal mo mento che l'uomo è una cosa limitata, non ci dobbiamo stupire del fatto che non gli spetta altro che una limitata perfezione. 17. Ma poi non di rado erriamo anche in quelle cose verso le quali siamo spinti dalla natura; come quando coloro che stanno male desiderano un cibo o una bevanda che dopo poco nuocerà loro. Forse ora si potrà dire che coloro che si comportano così sbagliano per questo motivo: perché la loro natura è corrotta. Ma questo non elimina la difficoltà, perché in verità un uomo malato è una creatura di Dio non meno di quanto lo sia uno sano; e dunque non sembra essere meno incompatibile che abbia avuto da Dio una natura ingannevole. Come un orologio costituito di ruote e di pesi, quando è fabbricato male 3/4 e non indica in modo giusto le ore 3/4 osserva le leggi della natura, non meno accuratamente di quando in ogni sua parte soddisfa i desideri dell'artefice; così se considerassi il corpo di un uomo come una macchina così fatta, composta di ossa, nervi, muscoli, vene, sangue e pelle tale che, anche se fosse privo della mente, tuttavia avrebbe gli stessi movimenti che ora in esso non derivano dal comando della volontà e quindi neppure dalla mente. facilmente comprendo che per tale corpo sarebbe ugualmente naturale 3/4 se, ad esempio, fosse malato di idropisia 3/4 soffrire di quella aridità della gola che il senso della sete suole indurre nella mente, ed essere spinto anche dalla malattia a disporre i nervi e le altre parti del corpo in modo tale da assumere bevande, aggravando così il suo male 3/4 rispetto a quando non essendovi in lui nessun morbo, è indotto da una simile [85] secchezza della gola a prendere bevande a lui utili. E sebbene possa dire — guardando all'uso dell'orologio che è stato predisposto dal suo artefice — che traligna dalla sua natura, quando non indica bene le ore; ed allo stesso modo — considerando la macchina del corpo umano come preparata per i suoi movimenti abituali — possa ritenere che anche quella traligna dalla sua natura, qualora la sua gola risulti arida, pur non giovando la bevanda alla sua conservazione, tuttavia comprendo con sufficiente chiarezza che quest'ultimo modo di intendere la natura è molto differente dall'altro. Questo infatti non è altro che una denominazione derivata dal mio pensiero — che confronta un uomo malato ed un orologio mal fabbricato con l'idea di un uomo sano e di un orologio ben fatto — ed estrinseca rispetto alle cose di cui si parla; per l'altro invece mi riferisco a qualcosa che in realtà si trova nelle cose, e quindi ha in sé qualche verità. 18. Certamente, anche se in relazione ad un corpo malato di idropisia, sia soltanto una denominazione estrinseca affermare che la sua natura è corrotta, per il fatto che ha sempre la gola arida, senza aver bisogno di bere; guardando invece all' insieme, cioè alla mente unita ad un tale corpo, non è una pura denominazione, ma un vero errore della natura il fatto che abbia sete quando la bevanda gli sarà di danno; perciò qui rimane da chiedersi in che modo la bontà di Dio non impedisca che la natura così presa sia fallace. 19. Dunque, in primo luogo, qui osservo che c'è una grande differenza tra la mente e il corpo: secondo la sua natura il corpo è sempre divisibile, la mente assolutamente [86] indivisibile. Quando la considero, oppure considero me stesso in quanto sono soltanto una cosa che pensa, non posso distinguere in me nessuna parte, ma comprendo che sono una cosa del tutto unitaria ed integra; e sebbene la mente tutta quanta sembri essere unita a tutto il corpo, anche se viene tolto un piede, o un braccio o qualsiasi altra parte del corpo, capisco che non è stato perciò tolto nulla alla mia mente; e neanche le facoltà di volere, sentire, comprendere ecc. possono essere dette parti di essa, perché è una e medesima la mente che vuole, che sente, che comprende. Al contrario, nessuna cosa corporea o estesa può essere da me pensata, che non si possa dividere facilmente in parti col pensiero, e che io non comprenda come divisibile; e questa sola notazione , se non lo sapessi già in modo abbastanza chiaro da un'altra fonte, basterebbe ad insegnarmi che la mente è completamente diversa dal corpo. 20. In secondo luogo, comprendo che la mente non è condizionata immediatamente da tutte le parti del corpo, ma soltanto dal cervello, o forse anche da una piccolissima parte di esso, cioè da quella in cui si dice che vi sia il senso comune; questa , ogni volta che è disposta allo stesso modo, fa sentire le stesse cose alla mente, anche se tuttavia le altre parti del corpo possono essere disposte in modi diversi tra loro, come provano innumerevoli esperienze, che non c'è bisogno qui di passare in rassegna. 21. Comprendo inoltre che la natura del corpo è tale, che nessuna parte  di esso può essere mossa da un'altra parte alquanto lontana, senza che possa allo stesso modo essere mossa da qualunque delle parti che si trovano in mezzo, sebbene quella lontana non compia alcuna azione. Come, ad esempio, in una fune ABCD, qualora [87] venga tirata l'ultima parte D, non in altro modo si muoverà la prima parte A, che potrebbe muoversi anche, se venisse tirata una delle intermedie B o C, e l'ultima parte D rimanesse immobile. E neppure in modo diverso, quando avverto il dolore di un piede, la fisica mi insegna che questa sensazione accade ad opera dei nervi sparsi per il piede, che, estesi di là fino al cervello come delle funi, quando vengono tirati nel piede, tirano anche le più interne parti del cervello alle quali arrivano, ed eccitano in esse un moto, formato dalla natura affinché la mente venga colpita dal senso del dolore, sebbene esso si trovi nel piede. Ma poiché quei nervi devono passare attraverso la tibia, la gamba, i lombi, il dorso e il collo, perché dal piede giungano al cervello, può accadere che — anche se una parte di essi, che è nel piede, non venga raggiunta, ma soltanto qualcuna delle parti intermedie — avvenga nel cervello sicuramente quello stesso movimento che avviene nel piede malato, per cui sarà necessario che la mente senta lo stesso dolore. E ciò si deve ritenere di qualsivoglia altra sensazione.
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