7 Novembre 1867- Albert Camus
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7 Novembre 1867- Albert Camus
Interviste
Jan Sperna Weiland
Albert Camus tra filosofia e letteratura
1. Professor Sperna Weiland, Camus è noto soprattutto come scrittore, e la sua opera non appartiene, in senso stretto, al dominio della filosofia. Eppure Camus è considerato anche uno dei maggiori esponenti dell'esistenzialismo francese? Attraverso quali opere si mostra la sua rilevanza filosofica?
A prima vista può sembrare forse strano che venga riservato ad Albert Camus un posto nell'Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, perchè egli è stato sì un grande scrittore, ma, in fondo, non si può dire che la sua opera appartenga alla filosofia nel senso tecnico della parola. E' stato lo stesso Camus a sostenere con grande enfasi: «La mia opera non è filosofia». Camus ha scritto una serie di romanzi: L'ètranger (Lo straniero), pubblicato nel 1942; La peste, pubblicato nel 1947 - il famoso libro che gli ha reso, infine, il premio Nobel per la letteratura - e poi, negli anni Cinquanta, ha scritto un libro enigmatico, molto difficile da interpretare, La chute (La caduta). Inoltre ha scritto una serie di opere teatrali. La più conosciuta è Les justes (I giusti), nella quale si tratta della violenza nella politica. Camus ha elaborato per il teatro grandi libri del passato, per esempio I demoni di Dostoevskij. E infine ha scritto un gran numero di articoli come giornalista, prima a L'Algeir rèpublicain, e più tardi a France Soir.
Tutti questi libri non giustificano l'attribuzione a Camus di un posto in un'Enciclopedia, nella quale si tratta di filosofia. Ci sono invece due libri che la giustificano - due libri i quali, come sostiene anche lui, non sono filosofici, ma sono livres d'idèes, libri nei quali vengono sviluppate determinate idee. In primo luogo si tratta del libro Le mythe de Sisyphe (Il mito di Sisifo), pubblicato nell'anno 1943, lo stesso in cui Sartre pubblicò il suo grande libro L'étre et le nèant (L'essere e il nulla). Il secondo libro è L'homme rèvoltè (L'uomo in rivolta), dell'anno 1951.
In un appunto del suo diario, nell'anno 1950, Camus dice di aver costruito la sua opera intorno a tre figure della mitologia greca: prima di tutte la figura di Sisifo, in secondo luogo quella di Prometeo, e come terza la Dea Nemesi, che figura in questo caso non come la dea della vendetta ma come la dea della misura. Questo vale - sostiene Camus- per l'opera che ho scritto finora, per i libri su cui mi impegno adesso, e vale per i libri che intendo ancora scrivere nel futuro. Non è tanto difficile classificare i Livres d'idèes, Le mythe de Sisyphe e L'homme rèvoltè: in questo schema. Le mythe de Sisyphe appartiene evidentemente alla figura di Sisifo, L'homme rèvoltè si confà, e ciò sarà più chiaro in seguito, alla figura di Prometeo. Ma nello stesso momento devo aggiungere che non è possibile distinguere le tre figure chiaramente l'una dall'altra. Queste figure si intersecano, per così dire. L'uomo assurdo di Le mythe de Sisyphe è già l'uomo della rivolta di L'homme rèvoltè, come viceversa L'homme rèvoltè resta sempre l'uomo assurdo di Le mythe de Sisyphe.
2. Camus è stato influenzato, tra gli altri, da Nietzsche. In che senso?
Ci sono due motivi che Camus ha tratto da Nietzsche e che attraversano tutta la sua opera. Il primo motivo è la «morte di Dio», il secondo è quello della volontà di potenza. La «morte di Dio», come da Nietzsche di regola fra virgolette, significa che il Dio cristiano è diventato inattendibile. Che il racconto del Dio, che governa come l'onnipotente con i suoi eterni decreti il mondo, che delibera sul destino degli uomini, sulla loro vita e la loro morte, perfino sulla morte eterna degli uomini, è diventato inattendibile. Il mondo di Albert Camus è un mondo che si potrebbe chiamare di un ateismo deciso. Perciò la «morte di Dio». Il secondo motivo è quello della volontà di potenza. La volontà di potenza sta, secondo Nietzsche, alla base di tutto. «Vuoi sapere - dice in un brano famoso -vuoi sapere che cosa è il mondo? Allora, io ho la risposta, il mondo è la volontà di potenza e nient'altro. Vuoi sapere che cosa è l'uomo? Allora la risposta è la medesima: «l'uomo è volontà di potenza e nient'altro». E con ciò Nietzsche costruisce tutta una metafisica. Camus prende da Nietzsche il motivo della volontà di potenza, ma ci aggiunge espressamente: «Io non scrivo metafisica, provo solamente a capire che cosa sta accadendo nella storia, e ciò che allora vedo è la volontà di potenza, che supera tutte le misure, tutti i limiti, e che finisce, e deve finire, con la distruzione dell'umanità». Queste due motivi ricorrono attraverso tutto il testo L'ètè, nel quale Camus costruisce ciò che segue.
3. Torniamo al testo in questione. Come svolge Camus il motivo della contrapposizione tra grecità e modernità, tra la misura e la compostezza della natura e lo smisurato e tragico divenire della storia?
Camus comincia con una descrizione dell'armonia del cosmo greco. Poi afferma che il cristianesimo ha causato la fine del mondo antico e con ciò anche la fine dell'armonia antica. In seguito mette a confronto l'una con l'altra l'antichità greca e la filosofia moderna. L'antichità greca conosceva e riconosceva i valori dai quali l'agire umano viene guidato e per i quali viene tenuto entro i limiti propri di quei valori. La filosofia moderna, al contrario, ha spostato i valori alla fine dell'agire. La filosofia moderna ha accolto la volontà, la passione della volontà, nella ragione, nel cuore della ragione stessa, per cui la ragione ha assunto infine un carattere omicida. I Greci capivano che l'uomo deve rispettare la misura e che gli uomini che ne oltrepassano i limiti vengono per questo colpiti dalle Erinni. La filosofia moderna oltrepassa tutti i limiti senza badare alla misura che era insita nei valori stessi. I valori non sono più di per se stessi, essi diventano, essi nascono nella storia. E alla fine sfociamo in una situazione in cui le opinioni sui valori divergono, in cui la lotta può prolungarsi fino all'infinito, proprio per questa divergenza delle opinioni sui valori. Il luogo in cui sfociamo è un mondo nel quale i messianismi si urtano l'uno contro l'altro, e nel quale il tumulto si mescola con i conflitti fra gli imperi che noi abbiamo fondato nella storia.
Siamo in balia della smisuratezza, e adesso cito letteralmente, «La smisuratezza è un fuoco», dice Eraclito. Nietzsche è superato. L'Europa non filosofa più a colpi di clava ma a colpi di cannone. Ciononostante, e questo è molto caratteristico per il pensiero di Camus, ciononostante il cielo, la natura c'è sempre. La natura c'è sempre, e essa pone il cielo azzurro e la sua propria ragionevolezza di fronte alla follia degli uomini e della storia. Fino al momento, e così finisce il brano da L'ètè, fino al momento che l'atomo s'infiamma. Qui si pensa ovviamente alla catastrofe di Hiroshima. E la storia finisce con il trionfo della ragione e il tramonto dell'umanità. I Greci - ancora una volta Camus ritorna sui Greci - i Greci non hanno mai sostenuto che l'uomo non potrebbe superare la misura. Quel che hanno detto i Greci è una cosa del tutto diversa: quando gli uomini hanno l'audacia di superare la misura posta agli uomini stessi, allora vengono conseguentemente colpiti senza pietà. «E - così finisce - non c'è niente nella storia dei nostri tempi che ci dia motivo di contraddire i Greci».
4. Il rapporto con Sartre, in tutta la sua contraddittorietà, è decisivo per Camus. Può parlarcene?
Nel 1944 ha luogo il primo incontro con Sartre. Siamo dopo la Liberazione, e Camus si esprime su quell'incontro molto chiaramente: «La prima volta che Sartre e io ci siamo incontrati abbiamo concluso che esistono divergenze molto grandi fra le nostre idee. Ambedue abbiamo scritto i nostri libri prima di incontrarci, e l'unico livres d'idèes che ho scritto prima del 1944, Le mythe de Sisyphe, è un libro in cui mi oppongo all'esistenzialismo. «Fra noi due corre una grande diversità ed è molto ingiusto che veniamo citati sempre insieme». Quando, nel 1945, viene costituita da parte di Sartre la redazione della rivista Les temps modernes, Camus non viene invitato a farne parte. E, se Sartre lo avesse invitato, penso che Camus avrebbe rifiutato di prendere parte alle attività della redazione di Les temps modernes. Camus è nel frattempo redattore di Combat, che non è più il giornale della Resistenza ma è diventato, dopo la Liberazione, uno dei vari giornali parigini. Ed egli segue, accanto a Sartre, la sua propria strada. La rottura - perchè in fin dei conti hanno rotto i legami - la rottura fra Camus e Sartre è avvenuta immediatamente dopo la pubblicazione del libro L'homme rèvoltè nel 1951. Nella rivista Les temps modernes appare allora una critica su questo libro, non di Sartre ma di Francis Chanson, in cui si ritiene che la conclusione del libro L'homme rèvoltè sia in fondo una specie di quietismo che fa il gioco della borghesia violenta e che per questo motivo, visto obiettivamente e malgrado tutte le buone intenzioni che Camus possa aver avuto, il libro è reazionario. A ciò Camus, offeso, reagisce con una lettera aperta alla redazione di Les temps modernes, e cioè a Sartre. Sartre risponde con un articolo su Les temps modernes nel quale prende pienamente parte per Francis Chanson. Per Camus è questo il momento in cui non vuole più avere a che fare con Sartre. E dimostrerò più oltre ancora, a proposito di L'homme rèvoltè, che, quando si tratta della relazione fra Camus e Sartre, si ha in realtà a che fare con due mondi diversi.
5. Il mito di Sisifo è una delle opere più note di Camus. Può riassumercene il senso ?
Le mythe de Sisyphe è un libro con delle limitazioni molto chiare. «A proposito di queste limitazioni -scrive Camus stesso- non ho inventato io che è un libro limitato». E' Camus che lo dice: «Si tratta di un certo senso della vita, di una certa atmosfera che è ampiamente presente nell'aria: quello dell'assurdità dell'esistenza». Ma egli aggiunge espressamente: «Ciò che scrivo non è filosofia assurda, io non faccio altro che una descrizione di quel senso della vita di cui Sisifo è il grande simbolo. Sisifo che rotola il suo macigno verso l'alto sulla china della collina, per vederlo ricadere, appena ha raggiunto finalmente la cima, sul fondo; dopodichè riscende e ricomincia a spingere in alto quella massa rocciosa sempre lungo la stessa china». Inoltre, l'assurdo sta sia nel soggetto del libro che nel punto di partenza dal quale Camus vuole avanzare verso la domanda: «In che modo vivere, come vivere umanamente in un mondo assurdo?». Il libro comincia con la seguente frase - e la cito quasi letteralmente: «Esiste per la filosofia un solo vero problema, ed è il problema del suicidio. C'è per la filosofia una sola vera domanda alla quale la filosofia stessa deve cercare di dare una risposta. La domanda è: "La vita vale la pena di essere vissuta oppure è il caso di non viverla?"». Perchè viviamo? Perchè continuiamo a vivere? Perchè non decidiamo, vista l'assurdità dell'esistenza, di smettere di vivere? La conclusione logica dell'assurdità dell'esistenza è il suicidio. A ciò va aggiunto che l'assurdità non sta nel mondo in sè. L'assurdità non sta nell'uomo preso a sè. L'assurdità sta nell'incontro dell'uomo con la sua esigenza di riconoscere un'unità, un rapporto, un senso e uno scopo nella sua vita e un mondo che non dà risposte alle sue domande. Nel mondo non c'è da riconoscere un senso, non c'è da riconoscere uno scopo. La conclusione del confronto dell'uomo con un mondo silenzioso, non trasparente, è che dobbiamo rinunciare a tutte le illusioni che noi ci possiamo fare della vita. E' chiaro che si nasconde nell'uomo una certa nostalgia. C'è un desiderio di unità, c'è un desiderio di un nesso. C'è dentro un desiderio che la vita sia più di un susseguirsi inutilmente di avvenimenti inutili. C'è nell'uomo una speranza che la vita renderà di più. E Camus a un certo momento dice con una certa pietà: «Anche se ci sono nel cuore delle persone molte cose più perseveranti, però la speranza si deve abbandonare. Infatti, non si tratta altro che di una concatenazione inutile di eventi inutili».
A prima vista può sembrare forse strano che venga riservato ad Albert Camus un posto nell'Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, perchè egli è stato sì un grande scrittore, ma, in fondo, non si può dire che la sua opera appartenga alla filosofia nel senso tecnico della parola. E' stato lo stesso Camus a sostenere con grande enfasi: «La mia opera non è filosofia». Camus ha scritto una serie di romanzi: L'ètranger (Lo straniero), pubblicato nel 1942; La peste, pubblicato nel 1947 - il famoso libro che gli ha reso, infine, il premio Nobel per la letteratura - e poi, negli anni Cinquanta, ha scritto un libro enigmatico, molto difficile da interpretare, La chute (La caduta). Inoltre ha scritto una serie di opere teatrali. La più conosciuta è Les justes (I giusti), nella quale si tratta della violenza nella politica. Camus ha elaborato per il teatro grandi libri del passato, per esempio I demoni di Dostoevskij. E infine ha scritto un gran numero di articoli come giornalista, prima a L'Algeir rèpublicain, e più tardi a France Soir.
Tutti questi libri non giustificano l'attribuzione a Camus di un posto in un'Enciclopedia, nella quale si tratta di filosofia. Ci sono invece due libri che la giustificano - due libri i quali, come sostiene anche lui, non sono filosofici, ma sono livres d'idèes, libri nei quali vengono sviluppate determinate idee. In primo luogo si tratta del libro Le mythe de Sisyphe (Il mito di Sisifo), pubblicato nell'anno 1943, lo stesso in cui Sartre pubblicò il suo grande libro L'étre et le nèant (L'essere e il nulla). Il secondo libro è L'homme rèvoltè (L'uomo in rivolta), dell'anno 1951.
In un appunto del suo diario, nell'anno 1950, Camus dice di aver costruito la sua opera intorno a tre figure della mitologia greca: prima di tutte la figura di Sisifo, in secondo luogo quella di Prometeo, e come terza la Dea Nemesi, che figura in questo caso non come la dea della vendetta ma come la dea della misura. Questo vale - sostiene Camus- per l'opera che ho scritto finora, per i libri su cui mi impegno adesso, e vale per i libri che intendo ancora scrivere nel futuro. Non è tanto difficile classificare i Livres d'idèes, Le mythe de Sisyphe e L'homme rèvoltè: in questo schema. Le mythe de Sisyphe appartiene evidentemente alla figura di Sisifo, L'homme rèvoltè si confà, e ciò sarà più chiaro in seguito, alla figura di Prometeo. Ma nello stesso momento devo aggiungere che non è possibile distinguere le tre figure chiaramente l'una dall'altra. Queste figure si intersecano, per così dire. L'uomo assurdo di Le mythe de Sisyphe è già l'uomo della rivolta di L'homme rèvoltè, come viceversa L'homme rèvoltè resta sempre l'uomo assurdo di Le mythe de Sisyphe.
2. Camus è stato influenzato, tra gli altri, da Nietzsche. In che senso?
Ci sono due motivi che Camus ha tratto da Nietzsche e che attraversano tutta la sua opera. Il primo motivo è la «morte di Dio», il secondo è quello della volontà di potenza. La «morte di Dio», come da Nietzsche di regola fra virgolette, significa che il Dio cristiano è diventato inattendibile. Che il racconto del Dio, che governa come l'onnipotente con i suoi eterni decreti il mondo, che delibera sul destino degli uomini, sulla loro vita e la loro morte, perfino sulla morte eterna degli uomini, è diventato inattendibile. Il mondo di Albert Camus è un mondo che si potrebbe chiamare di un ateismo deciso. Perciò la «morte di Dio». Il secondo motivo è quello della volontà di potenza. La volontà di potenza sta, secondo Nietzsche, alla base di tutto. «Vuoi sapere - dice in un brano famoso -vuoi sapere che cosa è il mondo? Allora, io ho la risposta, il mondo è la volontà di potenza e nient'altro. Vuoi sapere che cosa è l'uomo? Allora la risposta è la medesima: «l'uomo è volontà di potenza e nient'altro». E con ciò Nietzsche costruisce tutta una metafisica. Camus prende da Nietzsche il motivo della volontà di potenza, ma ci aggiunge espressamente: «Io non scrivo metafisica, provo solamente a capire che cosa sta accadendo nella storia, e ciò che allora vedo è la volontà di potenza, che supera tutte le misure, tutti i limiti, e che finisce, e deve finire, con la distruzione dell'umanità». Queste due motivi ricorrono attraverso tutto il testo L'ètè, nel quale Camus costruisce ciò che segue.
3. Torniamo al testo in questione. Come svolge Camus il motivo della contrapposizione tra grecità e modernità, tra la misura e la compostezza della natura e lo smisurato e tragico divenire della storia?
Camus comincia con una descrizione dell'armonia del cosmo greco. Poi afferma che il cristianesimo ha causato la fine del mondo antico e con ciò anche la fine dell'armonia antica. In seguito mette a confronto l'una con l'altra l'antichità greca e la filosofia moderna. L'antichità greca conosceva e riconosceva i valori dai quali l'agire umano viene guidato e per i quali viene tenuto entro i limiti propri di quei valori. La filosofia moderna, al contrario, ha spostato i valori alla fine dell'agire. La filosofia moderna ha accolto la volontà, la passione della volontà, nella ragione, nel cuore della ragione stessa, per cui la ragione ha assunto infine un carattere omicida. I Greci capivano che l'uomo deve rispettare la misura e che gli uomini che ne oltrepassano i limiti vengono per questo colpiti dalle Erinni. La filosofia moderna oltrepassa tutti i limiti senza badare alla misura che era insita nei valori stessi. I valori non sono più di per se stessi, essi diventano, essi nascono nella storia. E alla fine sfociamo in una situazione in cui le opinioni sui valori divergono, in cui la lotta può prolungarsi fino all'infinito, proprio per questa divergenza delle opinioni sui valori. Il luogo in cui sfociamo è un mondo nel quale i messianismi si urtano l'uno contro l'altro, e nel quale il tumulto si mescola con i conflitti fra gli imperi che noi abbiamo fondato nella storia.
Siamo in balia della smisuratezza, e adesso cito letteralmente, «La smisuratezza è un fuoco», dice Eraclito. Nietzsche è superato. L'Europa non filosofa più a colpi di clava ma a colpi di cannone. Ciononostante, e questo è molto caratteristico per il pensiero di Camus, ciononostante il cielo, la natura c'è sempre. La natura c'è sempre, e essa pone il cielo azzurro e la sua propria ragionevolezza di fronte alla follia degli uomini e della storia. Fino al momento, e così finisce il brano da L'ètè, fino al momento che l'atomo s'infiamma. Qui si pensa ovviamente alla catastrofe di Hiroshima. E la storia finisce con il trionfo della ragione e il tramonto dell'umanità. I Greci - ancora una volta Camus ritorna sui Greci - i Greci non hanno mai sostenuto che l'uomo non potrebbe superare la misura. Quel che hanno detto i Greci è una cosa del tutto diversa: quando gli uomini hanno l'audacia di superare la misura posta agli uomini stessi, allora vengono conseguentemente colpiti senza pietà. «E - così finisce - non c'è niente nella storia dei nostri tempi che ci dia motivo di contraddire i Greci».
4. Il rapporto con Sartre, in tutta la sua contraddittorietà, è decisivo per Camus. Può parlarcene?
Nel 1944 ha luogo il primo incontro con Sartre. Siamo dopo la Liberazione, e Camus si esprime su quell'incontro molto chiaramente: «La prima volta che Sartre e io ci siamo incontrati abbiamo concluso che esistono divergenze molto grandi fra le nostre idee. Ambedue abbiamo scritto i nostri libri prima di incontrarci, e l'unico livres d'idèes che ho scritto prima del 1944, Le mythe de Sisyphe, è un libro in cui mi oppongo all'esistenzialismo. «Fra noi due corre una grande diversità ed è molto ingiusto che veniamo citati sempre insieme». Quando, nel 1945, viene costituita da parte di Sartre la redazione della rivista Les temps modernes, Camus non viene invitato a farne parte. E, se Sartre lo avesse invitato, penso che Camus avrebbe rifiutato di prendere parte alle attività della redazione di Les temps modernes. Camus è nel frattempo redattore di Combat, che non è più il giornale della Resistenza ma è diventato, dopo la Liberazione, uno dei vari giornali parigini. Ed egli segue, accanto a Sartre, la sua propria strada. La rottura - perchè in fin dei conti hanno rotto i legami - la rottura fra Camus e Sartre è avvenuta immediatamente dopo la pubblicazione del libro L'homme rèvoltè nel 1951. Nella rivista Les temps modernes appare allora una critica su questo libro, non di Sartre ma di Francis Chanson, in cui si ritiene che la conclusione del libro L'homme rèvoltè sia in fondo una specie di quietismo che fa il gioco della borghesia violenta e che per questo motivo, visto obiettivamente e malgrado tutte le buone intenzioni che Camus possa aver avuto, il libro è reazionario. A ciò Camus, offeso, reagisce con una lettera aperta alla redazione di Les temps modernes, e cioè a Sartre. Sartre risponde con un articolo su Les temps modernes nel quale prende pienamente parte per Francis Chanson. Per Camus è questo il momento in cui non vuole più avere a che fare con Sartre. E dimostrerò più oltre ancora, a proposito di L'homme rèvoltè, che, quando si tratta della relazione fra Camus e Sartre, si ha in realtà a che fare con due mondi diversi.
5. Il mito di Sisifo è una delle opere più note di Camus. Può riassumercene il senso ?
Le mythe de Sisyphe è un libro con delle limitazioni molto chiare. «A proposito di queste limitazioni -scrive Camus stesso- non ho inventato io che è un libro limitato». E' Camus che lo dice: «Si tratta di un certo senso della vita, di una certa atmosfera che è ampiamente presente nell'aria: quello dell'assurdità dell'esistenza». Ma egli aggiunge espressamente: «Ciò che scrivo non è filosofia assurda, io non faccio altro che una descrizione di quel senso della vita di cui Sisifo è il grande simbolo. Sisifo che rotola il suo macigno verso l'alto sulla china della collina, per vederlo ricadere, appena ha raggiunto finalmente la cima, sul fondo; dopodichè riscende e ricomincia a spingere in alto quella massa rocciosa sempre lungo la stessa china». Inoltre, l'assurdo sta sia nel soggetto del libro che nel punto di partenza dal quale Camus vuole avanzare verso la domanda: «In che modo vivere, come vivere umanamente in un mondo assurdo?». Il libro comincia con la seguente frase - e la cito quasi letteralmente: «Esiste per la filosofia un solo vero problema, ed è il problema del suicidio. C'è per la filosofia una sola vera domanda alla quale la filosofia stessa deve cercare di dare una risposta. La domanda è: "La vita vale la pena di essere vissuta oppure è il caso di non viverla?"». Perchè viviamo? Perchè continuiamo a vivere? Perchè non decidiamo, vista l'assurdità dell'esistenza, di smettere di vivere? La conclusione logica dell'assurdità dell'esistenza è il suicidio. A ciò va aggiunto che l'assurdità non sta nel mondo in sè. L'assurdità non sta nell'uomo preso a sè. L'assurdità sta nell'incontro dell'uomo con la sua esigenza di riconoscere un'unità, un rapporto, un senso e uno scopo nella sua vita e un mondo che non dà risposte alle sue domande. Nel mondo non c'è da riconoscere un senso, non c'è da riconoscere uno scopo. La conclusione del confronto dell'uomo con un mondo silenzioso, non trasparente, è che dobbiamo rinunciare a tutte le illusioni che noi ci possiamo fare della vita. E' chiaro che si nasconde nell'uomo una certa nostalgia. C'è un desiderio di unità, c'è un desiderio di un nesso. C'è dentro un desiderio che la vita sia più di un susseguirsi inutilmente di avvenimenti inutili. C'è nell'uomo una speranza che la vita renderà di più. E Camus a un certo momento dice con una certa pietà: «Anche se ci sono nel cuore delle persone molte cose più perseveranti, però la speranza si deve abbandonare. Infatti, non si tratta altro che di una concatenazione inutile di eventi inutili».
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