21 MAGGIO - Platone
Pagina 1 di 1
21 MAGGIO - Platone
LA MENTE: QUALCOSA DI FISICO O DI IMMATERIALE?
Chi sei tu? C’è qualcosa in te che non si riduce a materia e, quindi, ti eleva rispetto al mondo delle cose e degli animali, oppure tutto – anche la tua mente – si riduce a materia? C’è qualcosa che sopravviverà quando il tuo corpo morirà oppure con la morte del tuo corpo non rimarrà più nulla di te? In altre parole, cos’è che – in ultima analisi – fa dell’uomo un “uomo”?
Interroghiamo il grande Platone. Per inquadrarlo, ti propongo prima un cenno ai pensatori precedenti. I pitagorici concepiscono l’uomo come un mix di anima e corpo: l’anima, per loro, alla morte del corpo emigra in altri corpi (metempsicosi). Sono – possiamo dire – “dualisti”. Gli atomisti - che fanno capo a Democrito -, invece, dualisti non sono: per loro, infatti, anche l’anima è costituita da “atomi”. In altre parole gli atomisti hanno una concezione “unitaria” dell’uomo. Una concezione, questa, che viene spezzata in modo profondo da Platone: è lui che teorizza la presenza nell’uomo di un’anima “spirituale”, di qualcosa cioè di assolutamente eterogeneo rispetto al corpo.
Come arriva Platone a tale teorizzazione che verrà considerata per secoli una “conquista” del pensiero occidentale?
Ti propongo qui un primo approccio semplificato e poi ti farò fare un’immersione nel “Fedone”, il dialogo in cui Paltone argomenta l’immortalità dell’anima.
Platone parte dai “concetti” di Socrate: questi chiedeva agli interlocutori “che cosa” caratterizza – ad esempio – una determinata virtù (vedi il coraggio), che cosa cioè fa sì che il coraggio sia il coraggio e non si confonda con altre virtù. E’ riflettendo su tali concetti che Platone arriva a dare un fondamento alla sua tesi. Egli, infatti, coglie in tali concetti delle caratteristiche che non hanno nulla a che fare con l’esperienza delle cose sensibili: i concetti sono “astratti” ed “universali”, mentre le cose sono tutte “concrete” e “particolari”. Siamo di fronte, quindi, ad una disomogeneità tra concetti e cose. I concetti, in altre parole, non avendo le caratteristiche della concretezza e della particolarità tipiche della materia, sono...
non materiali, cioè spirituali.
La tua conclusione non solo è coerente, ma è quella a cui arriva Platone: proprio perché non hanno le caratteristiche delle cose materiali, i concetti non possono che essere non materiali, cioè "spirituali". Ma non siamo ancora arrivati alla soluzione dell'interrogativo di fondo: come Platone arriva ad affermare la spiritualità dell'anima? Adesso sei in grado di... tagliare il traguardo.
L’anima è spirituale perché - presumo - conosce le idee.
E' questa la strada imboccata da Platone. L'anima è spirituale perché conosce dei contenuti spirituali. Siamo finalmente arrivati al traguardo. L'anima è spirituale, secondo Platone, perché, conoscendo le idee che sono spirituali, non può che avere una natura affine a tali contenuti: come farebbe un occhio a percepire qualcosa di astratto ed universale?
Platone non solo sostiene la spiritualità dell'anima, ma arriva a sostenere che l'anima è immortale, addirittura eterna. Puoi intuirne il perché?
Perché non è materiale.
Ma perché ciò che non è materiale non può morire?
Mi sembra semplice la risposta (tenendo presente, almeno il concetto della morte secondo gli atomisti): proprio perché l'anima è spirituale (cioè non materiale), non è composta di parti e quindi non può essere divisa, non può disgregarsi, non può morire.
Infatti: la morte è vista come la disgregazione delle parti di cui un organismo è composto: ciò che non è composto, quindi, non può disgregarsi, non può morire.
Passiamo ora al “Fedone”.
IL FEDONE di Platone: A CONFRONTO CON UN CLASSICO “DIALOGO” SULL’IMMORTALITA’ DELL’ANIMA.
(Si tratta di un percorso che presuppone la lettura del dialogo)
Il “Fedone” – per certi aspetti – è una prosecuzione dell’Apologia: nel Fedone, infatti, Platone (nei panni di Socrate) non fa che dimostrare quanto sostenuto nell'Apologia, che cioè la morte - per chi si è comportato in modo onesto - è un bene.
Entriamo ora nel merito. Per Platone l'anima può contemplare la verità nella sua purezza solo quando non è offuscata dal corpo e dalle passioni. Chi ama il sapere, quindi, non ha alcuna paura della morte. Veniamo alle prove dell'immortalità. In che consiste l'argomentazione dei contrari?
Ho capito il concetto secondo cui la morte nasce dalla vita (come farebbe a morire qualcosa che non fosse vivente?), ma non ho affatto compreso come si possa nascere dalla morte.
Hai capito che non vi sarebbe morte se non ci fosse qualcosa che prima era vivente. Non ti sembra che tale principio valga anche per il passaggio inverso? La vita non nasce dalla non-vita? Se fosse già vita prima della nascita, che senso avrebbe la nascita?
Per Platone il ciclo della generazione continua: se dalla vita nasce la morte, anche dalla morte nasce la vita. Si ha dunque una rigenerazione perenne. Se il principio generale della generazione dai contrari facesse eccezione per quanto riguarda la vita, tutto morirebbe. L'anima, quindi, continua a sopravvivere. Ma... tale anima conserva, anche dopo la morte del corpo, "forza e intelligenza"? Per Platone, sì. Quale l'argomentazione?
Socrate (cioè Platone) tira fuori la dottrina della reminiscenza: il nostro apprendere non è altro che ricordare quello che abbiamo appreso nel mondo delle idee.
E' vero: l'apprendere non è altro che un ricordare quanto abbiamo appreso nel mondo delle Idee.
Per Platone noi, nel percepire una cosa, ne ricordiamo un'altra o perché la prima è simile alla seconda o perché è dissimile. Cos’è che noi ricordiamo quando confrontiamo due pezzi di legno uguali?
All'idea di uguaglianza: come farei a confrontare due oggetti uguali se non avessi l'idea di uguaglianza?
Sì: se non avessi l'idea di uguaglianza, non potrei dire che A è uguale a B.
Simmia e Cebete non sono ancora del tutto convinti. Socrate, allora, fa un passo ulteriore sostenendo l'affinità tra anima e le idee: in che senso?
L'anima ha una natura affine alle idee perché come queste ultime non è composta e quindi non si decompone.
E' vero che l'anima è presentata come qualcosa di non composto. Ma... perché? Riprendiamo subito l'argomento.
Come Socrate sostiene che l'anima è semplice, cioè non composta e quindi non decomponibile e quindi immortale come immortali sono le idee?
Affermando che l'anima è spirituale (cioè immateriale) come le idee.
Siamo al problema precedente: prima occorrerebbe dimostrare che è spirituale e poi affermare l'affinità con le idee.
L'anima è semplice, spirituale e quindi la sua natura è affine a quella delle idee. Ma... perché si può dire che l'anima è semplice, spirituale?
Perché l'anima, cogliendo le idee, non può che essere simile alle idee: il simile si conosce col simile!
E' vero. Platone riprende il principio di Empedocle: il simile si conosce col simile, un principio che è agli antipodi della concezione di Anassagora.
Per Platone esistono realtà composte che si decompongono, che sono sottoposte al mutamento e ci sono realtà che, proprio perché semplici, immateriali (vedi le idee) sono immutabili: l'uguale in sé, il giusto in sé… rimangono eternamente tali. L'anima, secondo Platone, assomiglia di più alle idee che al corpo; in più l'anima ha il compito di comandare che è caratteristico del divino - sono gli dei che comandano sui mortali -. Quale l'obiezione di Simmia?
Simmia tira fuori la concezione (pitagorica) secondo cui l'anima è simile all'armonia: l'armonia è qualcosa di distinto da uno strumento musicale che la produce, così l'anima - che è l'armonia degli elementi che costituiscono il corpo - non può che essere distinta dal corpo e quindi permanere anche dopo la morte del corpo.
Simmia, è vero, tira fuori la concezione dell'anima come armonia, ma per arrivare a conclusioni opposte: l'armonia cessa quando si rompe lo strumento.
Socrate confuta l'obiezione di Simmia in due modi. In primo luogo afferma che tale concezione è in contrasto con la dottrina della reminiscenza, dottrina che Simmia dice di accettare. Dove starebbe il contrasto?
La dottrina della reminiscenza conduce alla preesistenza dell'anima, mentre sulla base della concezione dell'anima come armonia non si potrebbe dire che l'armonia continui ad esistere anche quando lo strumento è rotto.
Se si vuole essere precisi, si dovrebbe dire che l'armonia non può preesistere prima dello strumento: la dottrina della reminiscenza, infatti, porta direttamente ad affermare che l'anima preesiste al corpo.
Socrate aggiunge un'argomentazione in risposta all'obiezione di Simmia: quale?
Mi pare di ricordare che se l'anima fosse concepita come armonia, non si potrebbero spiegare le differenze tra le anime (ma non ricordo altro).
Platone, infatti, sostiene che se l’anima fosse concepita come armonia (accordo), non si potrebbero distinguere le anime virtuose (virtù=armonia) da quelle viziose (vizio=disarmonia).
Cebete a sua volta obietta che l'anima, se è vero che preesiste al corpo, non è affatto certo che sopravviva per l'eternità: potrebbe, infatti, spegnersi insieme all'ultimo corpo così come il tessitore non sopravvive all'ultimo dei vestiti da lui fatti. Come risponde Socrate?
Mi ricordo che Socrate tira fuori l'argomento dei contrari che però non ho compreso bene: prima aveva detto che la generazione nasce dai contrari, ora usa tale argomento per sostenere che l'idea in sé è invariabile.
Può sembrare contraddittorio, ma non lo è: prima aveva affermato che i contrari nascono dai contrari, ora afferma ad esempio che la grandezza in sé (cioè l'idea di grandezza) non può mai diventare piccolezza.
Ma... cosa c'entra con l'immortalità dell'anima l'argomento secondo cui l'idea in sé non può mai diventare il contrario di sé?
C'entra: se le idee rimangono immutabili, anche l'anima non può morire perché ha una natura affine a quella delle idee.
Effettivamente Socrate introduce un passaggio ulteriore, altrimenti non si può dire che produca un'ulteriore argomentazione.
Qual è allora il passo successivo di Socrate (Platone)? Come spiega, cioè, ulteriormente che l'anima è destinata a non morire?
Lo spiega sostenendo che l'anima è immortale perché per definizione (vedi il termine greco "psyché") è vita e in quanto tale non può mai ricevere la morte.
E' vero: per Platone l'anima è per essenza vita e, in quanto tale, non può mai assumere il suo contrario come il tre non potrà mai diventare pari. L'anima, in altre parole, partecipa dell'Idea di vita, e in quanto tale non potrà mai morire.
Qual è, secondo te, il riferimento culturale di Platone quando dice che l'idea (l'uguale in sé, ad esempio) non può mai diventare il suo contrario?
Mi pare siano i pensatori della scuola di Mileto, quei pensatori che hanno pensato l'arché come eterno.
Il riferimento è senza dubbio Parmenide, non la scuola ionica: il primo pensatore che ha affermato che la vera realtà (l'Essere) è qualcosa di immutabile.
Socrate cita espressamente Anassagora. Nell’"Apologia” si è difeso dall'accusa di essere di fatto un discepolo di Anassagora sostenendo che non si occupava affatto di indagare le cose celesti. Nel Fedone dice qualcosa di più: è stato, sì, attirato da giovane da Anassagora, ma questo l'ha deluso: perché?
Perché ha osato affermare che il sole non è altro che una pietra infuocata.
Non si tratta di questo: Anassagora delude Socrate perché, dopo aver introdotto il concetto di una Mente ordinatrice, di fatto poi spiega le cose sulla base di fattori meccanici, senza più utilizzare la Mente.
Per Socrate-Platone le cause prime delle cose non sono materiali, ma spirituali: ciò che fa sì, ad esempio, che una cosa sia bella è l'idea di bellezza. Tra le accuse antiche da cui si difende Socrate nell'Apologia c'era quella secondo cui egli indagava le cose sotterranee. Nel Fedone Socrate descrive il mondo sotterraneo dell'aldilà. Ti sembra ci sia una contraddizione?
Credo di no: nel Fedone presenta un aldilà che è sostanzialmente conforme a come era descritto dalla tradizione religiosa.
E' vero. Si tratta, poi, di un mito che viene attribuito ad "un tale”. Lo scopo appare abbastanza chiaro: dire ai malvagi che nell'aldilà c'è una giustizia superiore.
I sapienti - per Platone - non sono virtuosi perché temono la punizione nell'aldilà (tale punizione viene prospettata per chi sapiente non è). La morale, cioè, ha una sua autonomia: l'essere virtuoso implica già felicità. E il saggio è sereno di fronte alla morte perché sa di avere davanti una vita beata. E' giustificabile in questa ottica (secondo Platone) il suicidio?
Non ricordo di aver trovato la risposta: mi pare, però, di poter dire che se il saggio non desidera altro che liberarsi dal corpo per vedere la verità nella sua purezza e vivere una vita sommamente beata, il suicidio (solo per il saggio) sarebbe coerente.
Ti sarà sfuggito, ma nel Fedone è affermato chiaramente che il corpo è una prigione da cui l'uomo non può evadere: la preparazione alla morte per il saggio consiste nel liberare l'anima dal corpo durante questa vita.
Chi sei tu? C’è qualcosa in te che non si riduce a materia e, quindi, ti eleva rispetto al mondo delle cose e degli animali, oppure tutto – anche la tua mente – si riduce a materia? C’è qualcosa che sopravviverà quando il tuo corpo morirà oppure con la morte del tuo corpo non rimarrà più nulla di te? In altre parole, cos’è che – in ultima analisi – fa dell’uomo un “uomo”?
Interroghiamo il grande Platone. Per inquadrarlo, ti propongo prima un cenno ai pensatori precedenti. I pitagorici concepiscono l’uomo come un mix di anima e corpo: l’anima, per loro, alla morte del corpo emigra in altri corpi (metempsicosi). Sono – possiamo dire – “dualisti”. Gli atomisti - che fanno capo a Democrito -, invece, dualisti non sono: per loro, infatti, anche l’anima è costituita da “atomi”. In altre parole gli atomisti hanno una concezione “unitaria” dell’uomo. Una concezione, questa, che viene spezzata in modo profondo da Platone: è lui che teorizza la presenza nell’uomo di un’anima “spirituale”, di qualcosa cioè di assolutamente eterogeneo rispetto al corpo.
Come arriva Platone a tale teorizzazione che verrà considerata per secoli una “conquista” del pensiero occidentale?
Ti propongo qui un primo approccio semplificato e poi ti farò fare un’immersione nel “Fedone”, il dialogo in cui Paltone argomenta l’immortalità dell’anima.
Platone parte dai “concetti” di Socrate: questi chiedeva agli interlocutori “che cosa” caratterizza – ad esempio – una determinata virtù (vedi il coraggio), che cosa cioè fa sì che il coraggio sia il coraggio e non si confonda con altre virtù. E’ riflettendo su tali concetti che Platone arriva a dare un fondamento alla sua tesi. Egli, infatti, coglie in tali concetti delle caratteristiche che non hanno nulla a che fare con l’esperienza delle cose sensibili: i concetti sono “astratti” ed “universali”, mentre le cose sono tutte “concrete” e “particolari”. Siamo di fronte, quindi, ad una disomogeneità tra concetti e cose. I concetti, in altre parole, non avendo le caratteristiche della concretezza e della particolarità tipiche della materia, sono...
non materiali, cioè spirituali.
La tua conclusione non solo è coerente, ma è quella a cui arriva Platone: proprio perché non hanno le caratteristiche delle cose materiali, i concetti non possono che essere non materiali, cioè "spirituali". Ma non siamo ancora arrivati alla soluzione dell'interrogativo di fondo: come Platone arriva ad affermare la spiritualità dell'anima? Adesso sei in grado di... tagliare il traguardo.
L’anima è spirituale perché - presumo - conosce le idee.
E' questa la strada imboccata da Platone. L'anima è spirituale perché conosce dei contenuti spirituali. Siamo finalmente arrivati al traguardo. L'anima è spirituale, secondo Platone, perché, conoscendo le idee che sono spirituali, non può che avere una natura affine a tali contenuti: come farebbe un occhio a percepire qualcosa di astratto ed universale?
Platone non solo sostiene la spiritualità dell'anima, ma arriva a sostenere che l'anima è immortale, addirittura eterna. Puoi intuirne il perché?
Perché non è materiale.
Ma perché ciò che non è materiale non può morire?
Mi sembra semplice la risposta (tenendo presente, almeno il concetto della morte secondo gli atomisti): proprio perché l'anima è spirituale (cioè non materiale), non è composta di parti e quindi non può essere divisa, non può disgregarsi, non può morire.
Infatti: la morte è vista come la disgregazione delle parti di cui un organismo è composto: ciò che non è composto, quindi, non può disgregarsi, non può morire.
Passiamo ora al “Fedone”.
IL FEDONE di Platone: A CONFRONTO CON UN CLASSICO “DIALOGO” SULL’IMMORTALITA’ DELL’ANIMA.
(Si tratta di un percorso che presuppone la lettura del dialogo)
Il “Fedone” – per certi aspetti – è una prosecuzione dell’Apologia: nel Fedone, infatti, Platone (nei panni di Socrate) non fa che dimostrare quanto sostenuto nell'Apologia, che cioè la morte - per chi si è comportato in modo onesto - è un bene.
Entriamo ora nel merito. Per Platone l'anima può contemplare la verità nella sua purezza solo quando non è offuscata dal corpo e dalle passioni. Chi ama il sapere, quindi, non ha alcuna paura della morte. Veniamo alle prove dell'immortalità. In che consiste l'argomentazione dei contrari?
Ho capito il concetto secondo cui la morte nasce dalla vita (come farebbe a morire qualcosa che non fosse vivente?), ma non ho affatto compreso come si possa nascere dalla morte.
Hai capito che non vi sarebbe morte se non ci fosse qualcosa che prima era vivente. Non ti sembra che tale principio valga anche per il passaggio inverso? La vita non nasce dalla non-vita? Se fosse già vita prima della nascita, che senso avrebbe la nascita?
Per Platone il ciclo della generazione continua: se dalla vita nasce la morte, anche dalla morte nasce la vita. Si ha dunque una rigenerazione perenne. Se il principio generale della generazione dai contrari facesse eccezione per quanto riguarda la vita, tutto morirebbe. L'anima, quindi, continua a sopravvivere. Ma... tale anima conserva, anche dopo la morte del corpo, "forza e intelligenza"? Per Platone, sì. Quale l'argomentazione?
Socrate (cioè Platone) tira fuori la dottrina della reminiscenza: il nostro apprendere non è altro che ricordare quello che abbiamo appreso nel mondo delle idee.
E' vero: l'apprendere non è altro che un ricordare quanto abbiamo appreso nel mondo delle Idee.
Per Platone noi, nel percepire una cosa, ne ricordiamo un'altra o perché la prima è simile alla seconda o perché è dissimile. Cos’è che noi ricordiamo quando confrontiamo due pezzi di legno uguali?
All'idea di uguaglianza: come farei a confrontare due oggetti uguali se non avessi l'idea di uguaglianza?
Sì: se non avessi l'idea di uguaglianza, non potrei dire che A è uguale a B.
Simmia e Cebete non sono ancora del tutto convinti. Socrate, allora, fa un passo ulteriore sostenendo l'affinità tra anima e le idee: in che senso?
L'anima ha una natura affine alle idee perché come queste ultime non è composta e quindi non si decompone.
E' vero che l'anima è presentata come qualcosa di non composto. Ma... perché? Riprendiamo subito l'argomento.
Come Socrate sostiene che l'anima è semplice, cioè non composta e quindi non decomponibile e quindi immortale come immortali sono le idee?
Affermando che l'anima è spirituale (cioè immateriale) come le idee.
Siamo al problema precedente: prima occorrerebbe dimostrare che è spirituale e poi affermare l'affinità con le idee.
L'anima è semplice, spirituale e quindi la sua natura è affine a quella delle idee. Ma... perché si può dire che l'anima è semplice, spirituale?
Perché l'anima, cogliendo le idee, non può che essere simile alle idee: il simile si conosce col simile!
E' vero. Platone riprende il principio di Empedocle: il simile si conosce col simile, un principio che è agli antipodi della concezione di Anassagora.
Per Platone esistono realtà composte che si decompongono, che sono sottoposte al mutamento e ci sono realtà che, proprio perché semplici, immateriali (vedi le idee) sono immutabili: l'uguale in sé, il giusto in sé… rimangono eternamente tali. L'anima, secondo Platone, assomiglia di più alle idee che al corpo; in più l'anima ha il compito di comandare che è caratteristico del divino - sono gli dei che comandano sui mortali -. Quale l'obiezione di Simmia?
Simmia tira fuori la concezione (pitagorica) secondo cui l'anima è simile all'armonia: l'armonia è qualcosa di distinto da uno strumento musicale che la produce, così l'anima - che è l'armonia degli elementi che costituiscono il corpo - non può che essere distinta dal corpo e quindi permanere anche dopo la morte del corpo.
Simmia, è vero, tira fuori la concezione dell'anima come armonia, ma per arrivare a conclusioni opposte: l'armonia cessa quando si rompe lo strumento.
Socrate confuta l'obiezione di Simmia in due modi. In primo luogo afferma che tale concezione è in contrasto con la dottrina della reminiscenza, dottrina che Simmia dice di accettare. Dove starebbe il contrasto?
La dottrina della reminiscenza conduce alla preesistenza dell'anima, mentre sulla base della concezione dell'anima come armonia non si potrebbe dire che l'armonia continui ad esistere anche quando lo strumento è rotto.
Se si vuole essere precisi, si dovrebbe dire che l'armonia non può preesistere prima dello strumento: la dottrina della reminiscenza, infatti, porta direttamente ad affermare che l'anima preesiste al corpo.
Socrate aggiunge un'argomentazione in risposta all'obiezione di Simmia: quale?
Mi pare di ricordare che se l'anima fosse concepita come armonia, non si potrebbero spiegare le differenze tra le anime (ma non ricordo altro).
Platone, infatti, sostiene che se l’anima fosse concepita come armonia (accordo), non si potrebbero distinguere le anime virtuose (virtù=armonia) da quelle viziose (vizio=disarmonia).
Cebete a sua volta obietta che l'anima, se è vero che preesiste al corpo, non è affatto certo che sopravviva per l'eternità: potrebbe, infatti, spegnersi insieme all'ultimo corpo così come il tessitore non sopravvive all'ultimo dei vestiti da lui fatti. Come risponde Socrate?
Mi ricordo che Socrate tira fuori l'argomento dei contrari che però non ho compreso bene: prima aveva detto che la generazione nasce dai contrari, ora usa tale argomento per sostenere che l'idea in sé è invariabile.
Può sembrare contraddittorio, ma non lo è: prima aveva affermato che i contrari nascono dai contrari, ora afferma ad esempio che la grandezza in sé (cioè l'idea di grandezza) non può mai diventare piccolezza.
Ma... cosa c'entra con l'immortalità dell'anima l'argomento secondo cui l'idea in sé non può mai diventare il contrario di sé?
C'entra: se le idee rimangono immutabili, anche l'anima non può morire perché ha una natura affine a quella delle idee.
Effettivamente Socrate introduce un passaggio ulteriore, altrimenti non si può dire che produca un'ulteriore argomentazione.
Qual è allora il passo successivo di Socrate (Platone)? Come spiega, cioè, ulteriormente che l'anima è destinata a non morire?
Lo spiega sostenendo che l'anima è immortale perché per definizione (vedi il termine greco "psyché") è vita e in quanto tale non può mai ricevere la morte.
E' vero: per Platone l'anima è per essenza vita e, in quanto tale, non può mai assumere il suo contrario come il tre non potrà mai diventare pari. L'anima, in altre parole, partecipa dell'Idea di vita, e in quanto tale non potrà mai morire.
Qual è, secondo te, il riferimento culturale di Platone quando dice che l'idea (l'uguale in sé, ad esempio) non può mai diventare il suo contrario?
Mi pare siano i pensatori della scuola di Mileto, quei pensatori che hanno pensato l'arché come eterno.
Il riferimento è senza dubbio Parmenide, non la scuola ionica: il primo pensatore che ha affermato che la vera realtà (l'Essere) è qualcosa di immutabile.
Socrate cita espressamente Anassagora. Nell’"Apologia” si è difeso dall'accusa di essere di fatto un discepolo di Anassagora sostenendo che non si occupava affatto di indagare le cose celesti. Nel Fedone dice qualcosa di più: è stato, sì, attirato da giovane da Anassagora, ma questo l'ha deluso: perché?
Perché ha osato affermare che il sole non è altro che una pietra infuocata.
Non si tratta di questo: Anassagora delude Socrate perché, dopo aver introdotto il concetto di una Mente ordinatrice, di fatto poi spiega le cose sulla base di fattori meccanici, senza più utilizzare la Mente.
Per Socrate-Platone le cause prime delle cose non sono materiali, ma spirituali: ciò che fa sì, ad esempio, che una cosa sia bella è l'idea di bellezza. Tra le accuse antiche da cui si difende Socrate nell'Apologia c'era quella secondo cui egli indagava le cose sotterranee. Nel Fedone Socrate descrive il mondo sotterraneo dell'aldilà. Ti sembra ci sia una contraddizione?
Credo di no: nel Fedone presenta un aldilà che è sostanzialmente conforme a come era descritto dalla tradizione religiosa.
E' vero. Si tratta, poi, di un mito che viene attribuito ad "un tale”. Lo scopo appare abbastanza chiaro: dire ai malvagi che nell'aldilà c'è una giustizia superiore.
I sapienti - per Platone - non sono virtuosi perché temono la punizione nell'aldilà (tale punizione viene prospettata per chi sapiente non è). La morale, cioè, ha una sua autonomia: l'essere virtuoso implica già felicità. E il saggio è sereno di fronte alla morte perché sa di avere davanti una vita beata. E' giustificabile in questa ottica (secondo Platone) il suicidio?
Non ricordo di aver trovato la risposta: mi pare, però, di poter dire che se il saggio non desidera altro che liberarsi dal corpo per vedere la verità nella sua purezza e vivere una vita sommamente beata, il suicidio (solo per il saggio) sarebbe coerente.
Ti sarà sfuggito, ma nel Fedone è affermato chiaramente che il corpo è una prigione da cui l'uomo non può evadere: la preparazione alla morte per il saggio consiste nel liberare l'anima dal corpo durante questa vita.
Fonte.
Argomenti simili
» 20 MAGGIO - Socrate
» 3 Maggio - Machiavelli
» 18 MAGGIO - Bertrand Russell
» 19 MAGGIO - Gottlieb Fichte
» 29 MAGGIO - Giovanni Gentile
» 3 Maggio - Machiavelli
» 18 MAGGIO - Bertrand Russell
» 19 MAGGIO - Gottlieb Fichte
» 29 MAGGIO - Giovanni Gentile
Pagina 1 di 1
Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.