20 MAGGIO - Socrate
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20 MAGGIO - Socrate
VITA
Nato ad Atene nel 470-469 a. C., Socrate era figlio di uno scultore - Sofronisco - e di una levatrice - Fenarete - e la sua educazione rispecchiò lo schema tipico della piccola borghesia a lui contemporanea: ginnastica e studio delle opere di poesia. Visse la sua giovinezza in uno dei periodi intellettualmente più vivaci della storia di Atene, nel momento in cui si andavano diffondendo le istanze sofistiche e l'insegnamento di Anassagora ancora svolgeva un ruolo importante. In tarda età sposò Santippe, dalla quale ebbe tre figli.
La vita pubblica di Socrate fu segnata dalla partecipazione alle campagne militari di Potidea (432-429), Delio (424) e Anfipoli (422) - nelle quali si distinse per la disciplina e l'equilibrio dimostrati - ma non si volse in maniera significativa alla pratica politica, se si esclude la carica di pritano (membro del consiglio con compiti di amministrazione civica) che gli fu affidata per sorteggio nel 406. Proprio in qualità di pritano, Socrate difese i comandanti della flotta ateniese che non avevano tratto in salvo i naufraghi dopo la vittoria di Arginuse e che in seguito furono condannati con una sentenza irregolare; nel 404 si inimicò il governo in carica - quello cosiddetto "dei Trenta Tiranni" - per non aver voluto dare il suo assenzo all'arresto arbitrario di un oppositore politico.
Nel 399, a causa dell'apertura razionalistica del suo pensiero e dell'influenza che la sua riflessione morale aveva sui giovani aristocratici ateniesi, la situazione precipitò: fu condannato a morte con l'imputazione di empietà e di corruzione della gioventù. A portare avanti le accuse - mosse essenzialmente da motivazioni di ordine politico - furono il poeta tragico Meleto, l'oratore Licone e il democratico Anito. La presenza di quest'ultimo dimostra come il regime democratico - restaurato nel 401 a.C. da Trasibulo - possedesse delle ragioni ben precise per voler condannare Socrate: innanzitutto, egli intratteneva rapporti personali con figure eminenti dell'aristocrazia ateniese, quali Crizia e Alcibiade, particolarmente invise al regime democratico; in secondo luogo, Socrate si era più volte scagliato contro uno dei pilastri dell'ordinamento democratico - vale a dire il sorteggio - in quanto ritenuto deleterio ai fini dell'efficienza del governo cittadino. Non bisogna inoltre dimenticare che il pensiero di Socrate era in gran parte debitore delle conquiste intellettuali della sofistica, il cui soggettivismo appariva ai democratici - e non solo a loro - come un potente fattore disgregante.
Dagli scritti di Platone - uno dei suoi più fedeli discepoli e sicuramente quello dotato di maggiori potenzialità - possiamo farci un'idea del contegno di Socrate durante il processo: egli volle difendersi da solo e la sua arringa autocelebrativa non poté non apparire provocatoria all'organo giudicante. Il verdetto, come ci si poteva ben aspettare, fu negativo, ma Socrate accettò serenamente la condanna a morte e rifiutò di aderire al piano di fuga che i suoi amici avevano preparato per lui. Egli volle così testimoniare il dovere di obbedire alle leggi dello Stato - anche se ingiustamente applicate - e bevve la cicuta dopo aver discusso coi suoi discepoli sul problema dell'immortalità dell'anima.
Socrate non ha lasciato nulla di scritto: ciò che sappiamo di lui e del suo pensiero lo dobbiamo alle opere di Platone e ai diversi ritratti - non tutti positivi - che ne fecero autori come Aristofane, Senofonte e Aristotele.
Il primo momento del dialogo socratico viene detto protrettico ed ha lo scopo di minare le certezze dell'interlocutore attraverso un uso mirato dell'ironia, della dissimulazione e dell'ostentazione di un'apparente ingenuità. Il secondo momento è dato dall'imbarazzo - aporìa - a cui perviene l'interlocutore quando scopre le conseguenze dalla tesi che ha scelto di sostenere. Una volta avvenuto ciò, l'intelocutore sarà costretto a sviluppare delle teorie personali: proprio per questo Socrate definirà la sua tecnica dialogica come maieutica, in quanto causa della nascita di nuove idee.
Una delle costanti presenti nel dialogo socratico è data dalla domanda: "che cos'è?". Una tale richiesta rende possibile la determinazione di ciò che Aristotele chiamerà l'essenza delle cose, o anche il loro concetto: da un certo numero di singoli uomini, ad esempio, si può arrivare a stabilire intepersonalmente che cos'è l'uomo.
Altro punto fondamentale del pensiero socratico sta nell'identificazione tra sapere e virtù, da cui discende la convinzione dell'insegnabilità della virtù. Quest'ultima, infatti, può essere definita come una scienza del bene e del male, ed ha la stessa possibilità di essere insegnata di qualunque altra disciplina: nel momento in cui si conosce la differenza tra bene e male, è impossibile agire non in conformità con la virtù. Tale affermazione sta alla base dell'intellettualismo etico di Socrate, in quanto sottende il primato della conoscenza sulla volontà, eludendo qualsiasi componente emotiva.
Dal concetto socratico del bene traspare una concezione interiorizzata dell'uomo, le cui peculiarità risultano orientate verso la sua anima, considerata come la vera realtà umana, nei confronti della quale il corpo svolge una mera funzione strumentale. Il motto "conosci te stesso", quindi, viene da Socrate inteso come un'esortazione a riconoscere nell'anima la vera realtà dell'uomo e nella virtù il suo compimento.
Fonte.La vita pubblica di Socrate fu segnata dalla partecipazione alle campagne militari di Potidea (432-429), Delio (424) e Anfipoli (422) - nelle quali si distinse per la disciplina e l'equilibrio dimostrati - ma non si volse in maniera significativa alla pratica politica, se si esclude la carica di pritano (membro del consiglio con compiti di amministrazione civica) che gli fu affidata per sorteggio nel 406. Proprio in qualità di pritano, Socrate difese i comandanti della flotta ateniese che non avevano tratto in salvo i naufraghi dopo la vittoria di Arginuse e che in seguito furono condannati con una sentenza irregolare; nel 404 si inimicò il governo in carica - quello cosiddetto "dei Trenta Tiranni" - per non aver voluto dare il suo assenzo all'arresto arbitrario di un oppositore politico.
Nel 399, a causa dell'apertura razionalistica del suo pensiero e dell'influenza che la sua riflessione morale aveva sui giovani aristocratici ateniesi, la situazione precipitò: fu condannato a morte con l'imputazione di empietà e di corruzione della gioventù. A portare avanti le accuse - mosse essenzialmente da motivazioni di ordine politico - furono il poeta tragico Meleto, l'oratore Licone e il democratico Anito. La presenza di quest'ultimo dimostra come il regime democratico - restaurato nel 401 a.C. da Trasibulo - possedesse delle ragioni ben precise per voler condannare Socrate: innanzitutto, egli intratteneva rapporti personali con figure eminenti dell'aristocrazia ateniese, quali Crizia e Alcibiade, particolarmente invise al regime democratico; in secondo luogo, Socrate si era più volte scagliato contro uno dei pilastri dell'ordinamento democratico - vale a dire il sorteggio - in quanto ritenuto deleterio ai fini dell'efficienza del governo cittadino. Non bisogna inoltre dimenticare che il pensiero di Socrate era in gran parte debitore delle conquiste intellettuali della sofistica, il cui soggettivismo appariva ai democratici - e non solo a loro - come un potente fattore disgregante.
Dagli scritti di Platone - uno dei suoi più fedeli discepoli e sicuramente quello dotato di maggiori potenzialità - possiamo farci un'idea del contegno di Socrate durante il processo: egli volle difendersi da solo e la sua arringa autocelebrativa non poté non apparire provocatoria all'organo giudicante. Il verdetto, come ci si poteva ben aspettare, fu negativo, ma Socrate accettò serenamente la condanna a morte e rifiutò di aderire al piano di fuga che i suoi amici avevano preparato per lui. Egli volle così testimoniare il dovere di obbedire alle leggi dello Stato - anche se ingiustamente applicate - e bevve la cicuta dopo aver discusso coi suoi discepoli sul problema dell'immortalità dell'anima.
Socrate non ha lasciato nulla di scritto: ciò che sappiamo di lui e del suo pensiero lo dobbiamo alle opere di Platone e ai diversi ritratti - non tutti positivi - che ne fecero autori come Aristofane, Senofonte e Aristotele.
PENSIERO
Una delle peculiarità del pensiero socratico - che in seguito verrà elaborata da Platone - è data dal dialogo, inteso come strumento conoscitivo in grado di costruire una verità intersoggettiva attraverso lo scambio di opinioni con più interlocutori. In tal modo l'identificazione della verità non avviene più tramite la "scoperta" di un quid ontologicamente fondato, ma attraverso una metodologia che assume i tratti di una gnoseologia e che mira alla determinazione di un criterio interpersonale del sapere. Alla base di tale pratica conoscitiva Socrate pone l'ignoranza, ovvero la consapevolezza dei propri limiti, del "sapere di non sapere".Il primo momento del dialogo socratico viene detto protrettico ed ha lo scopo di minare le certezze dell'interlocutore attraverso un uso mirato dell'ironia, della dissimulazione e dell'ostentazione di un'apparente ingenuità. Il secondo momento è dato dall'imbarazzo - aporìa - a cui perviene l'interlocutore quando scopre le conseguenze dalla tesi che ha scelto di sostenere. Una volta avvenuto ciò, l'intelocutore sarà costretto a sviluppare delle teorie personali: proprio per questo Socrate definirà la sua tecnica dialogica come maieutica, in quanto causa della nascita di nuove idee.
Una delle costanti presenti nel dialogo socratico è data dalla domanda: "che cos'è?". Una tale richiesta rende possibile la determinazione di ciò che Aristotele chiamerà l'essenza delle cose, o anche il loro concetto: da un certo numero di singoli uomini, ad esempio, si può arrivare a stabilire intepersonalmente che cos'è l'uomo.
Altro punto fondamentale del pensiero socratico sta nell'identificazione tra sapere e virtù, da cui discende la convinzione dell'insegnabilità della virtù. Quest'ultima, infatti, può essere definita come una scienza del bene e del male, ed ha la stessa possibilità di essere insegnata di qualunque altra disciplina: nel momento in cui si conosce la differenza tra bene e male, è impossibile agire non in conformità con la virtù. Tale affermazione sta alla base dell'intellettualismo etico di Socrate, in quanto sottende il primato della conoscenza sulla volontà, eludendo qualsiasi componente emotiva.
Dal concetto socratico del bene traspare una concezione interiorizzata dell'uomo, le cui peculiarità risultano orientate verso la sua anima, considerata come la vera realtà umana, nei confronti della quale il corpo svolge una mera funzione strumentale. Il motto "conosci te stesso", quindi, viene da Socrate inteso come un'esortazione a riconoscere nell'anima la vera realtà dell'uomo e nella virtù il suo compimento.
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