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LE NUOVE DIREZIONI DELLA FILOSOFIA DEL 2000

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Messaggio Da Admin - AnnaGarofalo Dom Mag 25, 2008 12:31 am

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                              John Searle                                              Ugo Perone





LE NUOVE DIREZIONI DELLA FILOSOFIA DEL 2000
Intervista a Ugo Perone su John Searle



In questi giorni il filosofo John Searle si trova a Torino ospite dei seminari organizzati dalla Scuola di Alta formazione filosofica col Centro studi Pareyson. Searle, docente a Berkeley, è considerato un filosofo “sociale” esperto di linguaggio, ed ha smontato la visione positivista dell’Intelligenza Artificiale con l’Argomento della Stanza cinese. Immaginiamo una persona che non conosca il cinese, chiusa in una stanza che contenga soltanto un dizionario con ideogrammi. Se a costui si passa una serie di fogli con ideogrammi, la persona cercherà nel dizionario il lemma corrispondente a ogni segno. Ciò tuttavia non significa conoscenza della lingua. E’ questa la condizione dell’informatica. Quando Searle pubblicò per la prima volta questa argomentazione, nel 1980, la comunità scientifica menò lai ad abundantiam, dal MIT a Stanford. Tuttavia il modello di Searle si è imposto come un limite invalicabile, ed è avvalorato da scienziati come De Pauli, che lo assimila al Teorema di Incompiutezza di Gödel. La mente umana riesce -a differenza delle macchine- a concepire ciò che si pone al di fuori di un sistema formale. In questo modo possiamo pensare di poter risolvere le proposizioni indecidibili che esistono anche all’interno di una disciplina esatta come la matematica. La filosofia contemporanea si muove in nuove direzioni. Ne discutiamo con Ugo Perone, ordinario di Filosofia Morale e direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Piemonte Orientale.

Qual è il bilancio dei seminari da lei ideati e diretti?
La Scuola di Alta formazione filosofica è nata quattro anni fa, con l’idea di offrire ai giovani studiosi un seminario residenziale intensivo con una grande personalità della filosofia. Condividere cinque giorni con un filosofo, sentire la sua proposta teorica e interloquire con lui è un’occasione speciale e privilegiata. L’esperienza di questi anni con Jean-Luc Marion, Dieter Henrich, Charles Larmore e adesso con John Searle è stata molto positiva e conferma che in Italia ci sono giovani preparati e appassionati. Il livello della nostra filosofia è di uno standard elevato, ma questa disciplina non si può ridurre alla sua storia, perché è soprattutto capacità di elaborare proposte teoriche, interpretazioni, punti di riferimento per il mondo contemporaneo.

Ritiene possibile che la nostra università diventi più anglosassone e più vicina al mondo dell’Accademia greca, dove filosofi e giovani convivevano e discutevano insieme?
E’ possibile, nel senso che la filosofia come disciplina si sottrae a un uso puramente strumentale. L’università può cadere in mano al funzionalismo. Ciò rischia di essere illusorio, soprattutto nel caso di discipline come quelle filosofiche. Anche quando noi riproduciamo noi stessi, formando nuovi professori, dobbiamo immaginare che la trasmissione di sapere non sarà mai avulsa dall’interpretazione personale. Quest’idea rende l’università simile all’Accademia di cui lei parla, cioè un luogo dove è doveroso affrontare i problemi anche in modo teorico e disinteressato. Il titolo di studio non può essere considerato in un modo puramente strumentale. La prassi del “diplomificio” è lontana dall’idea della comunità di studio, e non serve alla crescita del livello di istruzione né alla crescita delle competenze reali. Nell’ambito della filosofia riusciamo a seguire questo metodo, ma dovremmo liberarci dall’eccesso burocratico e quantitativo di esami. I giovani obbligati a un iperproduzione di prestazioni si disamorano del sapere.

Sono assolutamente d’accordo. Avvicinandoci ai temi del seminario di John Searle -e in particolare alla sua Lectio magistralis su “La questione della società: realtà sociale e linguaggio”- vorrei citare Dietrich Bonhoeffer, che è stato insieme teologo, filosofo e politico.
Io intendo e pratico la filosofia come un momento di unità nel quale intervengono insieme l’esistenza, l’impegno, la dimensione pubblica. Ho portato in scena la figura di Bonhoeffer, “engagé” fino alla morte, proprio perché mi sembrava l’interprete ideale della filosofia come spazio pubblico e aperto, così come lo è lo stesso teatro.

Il linguaggio rimane un tema fondante per il nostro mondo. Viviamo in una società di comunicazione. Penso alla scuola americana, rappresentata da Searle, ma anche alla semiotica.
La filosofia del Novecento è segnata da una svolta linguistica che ha avuto diverse connotazioni, non tutte necessariamente convergenti. Sono nate la filosofia del linguaggio, la semiotica, l’ermeneutica di Gadamer. Senza dimenticare Heidegger, penso anche ad autori eterodossi come Derrida e Lacan, interpreti della dimensione creativa del linguaggio non solo per gli aspetti psicologici, ma anche in riferimento all’Estetica. Il linguaggio domina tutto il pensiero contemporaneo e Searle mette in luce gli aspetti sociali della comunicazione, nel solco della sua scuola di pensiero…

Una scuola molto ricca, pensando alla prossemica di Edward Hall, che ha influenzato l’architettura, gli studi sociali e la rappresentazione scenica, con i suoi studi sulla disposizione dei corpi all’interno di spazi pubblici come ascensori, ambienti di lavoro e fermate di bus.
Non è la nostra scuola di riferimento, ma il senso della Scuola di Alta formazione consiste proprio nel rendere disponibili le esperienze più diverse. Pensi ad esempio al prossimo ospite, Agnès Heller. Tutti gli ospiti hanno però in comune la capacità di porre domande e posizioni con le quali non si può non confrontarsi.

Searle in particolare si è occupato delle differenze tra i processi mentali e le inferenze logiche tipiche dell’Intelligenza Artificiale.
Questo tema sarà probabilmente affrontato in un suo intervento al Politecnico di Torino, lunedi 26. Certamente secondo il suo pensiero non ci può essere processo logico in assenza di un supporto materiale. Ciò vuol dire che non ci può essere un dualismo mente-corpo, cosa che del resto quasi nessuno ha mai sostenuto fino in fondo. Searle si è schierato contro ogni forma di riduzionismo che immagini di produrre pensiero attraverso l’Intelligenza artificiale. L’intelligenza umana continua a mantenere –nel pensiero di Searle- la sua unicità. La IA può rispondere a una serie di quesiti anche in forma creativa, visto che di fronte a problemi nuovi offre risposte nuove. Ma l’intelligenza consiste nella consapevolezza del processo mentale, che produce semantica, cioè nuovi circuiti cognitivi. La spiegazione scientifica, neurologica di determinati fenomeni mentali non conduce necessariamente a un esito riduzionistico, tale da poter dire che la mente si limita a questi aspetti.

I limiti della IA sono delineati nella figura di HAL, il computer di 2001, Odissea nello spazio, che è l’acronimo delle due forme di intelligenza, quella euristica e quella algoritmica (Heuristically ALgoritmic). Molto interessante, perché l’esistenza di HAL fallisce.
Non conoscevo questo aspetto del film. Viviamo una fase di grande vivacità di pensiero. Penso a certi settori della neurobiologia, ad esempio a Damasio. C’è un grande sforzo per arrivare a una comprensione unitaria dei fenomeni senza che questa sintesi sia di tipo riduzionista. Si stanno imponendo nuovi livelli di pensiero, che richiedono diversi approcci. L’ermeneutica può affrontare queste differenze di livello offrendo una sintesi tra scienza e filosofia, mantenendo però dei moduli argomentativi differenziati.


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