III MEDITAZIONE (a)
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III MEDITAZIONE (a)
1. Ora chiuderò gli occhi, turerò le orecchie, escluderò tutti i sensi ed eliminerò dal mio pensiero anche tutte le immagini delle cose corporee. Poiché questo si può fare a stento, quanto meno non ne terrò nessun conto, come se fossero vuote e false. Parlando solo con me e guardando più in profondità, cercherò di rendermi poco a poco più noto e familiare a me stesso. Io sono una cosa che pensa, cioè che dubita, afferma, nega, comprende poche cose e molte ne ignora, vuole, disvuole, ed immagina anche, e sente. Come infatti ho notato prima, sebbene quello che sento ed immagino fuori di me forse non sia nulla, tuttavia sono certo che quei modi di pensare — che, essendo solo dei modi di pensare, chiamo sensazioni e immaginazioni [35] — sono in me. 2. Con queste poche parole ho passato in rassegna tutto quello che so realmente, o almeno quello che ho avvertito di conoscere fino a questo momento. Ora osserverò con maggiore diligenza se, fino ad ora, per caso vi siano altre cose presso di me che non ho ancora scorto. Sono certo di essere una cosa che pensa. Forse dunque so anche che cosa è richiesto per essere certo di qualche cosa? In questa prima conoscenza, dunque, non vi è null'altro fuorché una chiara e distinta percezione di ciò che affermo; e questa certo non basterebbe per rendermi sicuro della verità della cosa, se mai mi potesse accadere che fosse falso ciò che pure abbia percepito in maniera così chiara e distinta; e quindi già mi sembra di poter stabilire, come regola generale, che è vero tutto ciò che concepisco in maniera molto chiara e distinta. 3. Eppure ho prima ammesso come del tutto certe e manifeste delle cose che mi sono reso conto essere dubbie. E quali sono state dunque queste cose? Certo la terra, il cielo, gli astri e tutte le altre cose di cui mi appropriavo per mezzo dei sensi. Che cosa dunque percepivo chiaramente di queste cose? Che le idee di tali cose, o piuttosto i pensieri, si aggiravano nella mia mente. Ma neppure ora metto in dubbio che quelle idee siano in me. Era però qualcosa di diverso quello che affermavo, e che anche per la consuetudine delle mie convinzioni ritenevo di scorgere chiaramente, ma che in realtà non percepivo; e cioè che vi fossero delle cose fuori di me dalle quali procedevano queste idee, cose in tutto simili a loro. Era in questo che mi sbagliavo. Se poi il mio giudizio era giusto, di sicuro ciò non mi accadeva per la forza della mia percezione. 4. E che? quando riguardo all’oggetto dell'aritmetica o della geometria [36] consideravo qualcosa sicuramente molto semplice e facile, come che due più tre fanno cinque, o cose simili, forse non le intuivo in maniera sufficientemente netta da poter affermare che fossero vere? Evidentemente ho giudicato di non poter dubitare di ciò solo perché mi veniva in mente che un qualche Dio avesse potuto instillare in me una tale natura da poter essere ingannato anche riguardo a ciò che sembrava assolutamente manifesto. Ma ogni qual volta mi viene in mente questa opinione prima concepita sulla somma potenza di Dio, non posso non ammettere che, se solo lo volesse, sarebbe facile per lui fare in modo che io cada in errore anche in ciò che ritengo di intuire con gli occhi della mente nella maniera più nitida. Ogni volta che mi volgo a quelle cose che ritengo di percepire con grande chiarezza, sono persuaso da esse in maniera così evidente che spontaneamente mi trovo ad affermare ad alta voce e con sicurezza: "Mi inganni pure chi può, tuttavia non farà mai in modo tale che io non sia nulla, finché penso di essere qualcosa; o che un giorno si possa dire che non sono mai esistito, mentre è vero che io sono; o forse anche che due più tre siano più o meno di cinque, o cose simili, cose che vedo chramente non poter essere diversamente da come le concepisco". E certo mentre non ho alcun motivo per considerare che vi sia un qualche Dio ingannatore, e ancora non so nemmeno con sufficiente certezza se vi sia un qualche Dio, per dubitare ho un motivo assai tenue e, per così dire, metafisico, che dipende soltanto da quella opinione. Perché venga eliminata anche quella, non appena si presenterà l'occasione, devo esaminare se Dio esista, e, se esiste, se possa essere un ingannatore; senza avere una conoscenza certa di ciò, infatti, non mi sembra di poter essere completamente certo di nessun’altra cosa. 5. Ma ora l'ordine delle argomentazioni sembra esigere che, per cominciare, io distribuisca tutti [37] i miei pensieri in generi determinati prima di ricercare in quali risieda propriamente la verità o la falsità. Alcuni di questi pensieri sono come delle immagini di cose alle quali sole conviene propriamente il nome di idea, come quando penso un uomo, una chimera, il cielo, un angelo o Dio; altri poi hanno anche altre forme: quando esprimo un atto di volontà, quando temo, quando affermo, quando nego, sempre concepisco una qualche cosa come soggetto del mio pensiero. Col pensiero, però, abbraccio anche qualcosa che va al di là della mera corrispondenza. Tra questi pensieri alcuni si chiamano atti di volontà, altri affezioni e altri giudizi. 6. Per quanto poi riguarda le idee, se saranno viste solo per se stesse e non le riferirò a qualcos'altro, non possono essere propriamente false perché, sia che immagini una capra o una chimera, non è meno vero che immagino l'una come l'altra. In effetti non vi è da temere nessuna falsità nella volontà o nelle affezioni giacché, quantunque io possa desiderare cose malvage o cose che non esistono, tuttavia non può non essere vero che io le desidero. E quindi rimangono solo i giudizi, nei quali mi devo guardare dallo sbagliare. D’altronde l'errore più rilevante e più frequente che si possa trovare in essi consiste in questo, che io giudichi le idee che sono in me simili o conformi a cose poste fuori di me. Infatti, se considerassi le stesse idee soltanto come modalità del mio pensiero e non le riferissi a null'altro, a stento potrebbero darmi una qualche occasione di errare. 7. Tra queste idee poi alcune sembrano innate, altre avventizie, [38] altre poi prodotte da me stesso; infatti mi sembra di non poter trarre da altro se non proprio dalla mia natura il comprendere cosa sia una cosa, cosa sia la verità, cosa sia il pensiero: che adesso io oda un rumore, che io veda il sole o avverta il calore del fuoco, finora ho ritenuto che questo derivasse da alcune cose poste fuori di me. Quanto poi alle sirene, agli ippogrifi e cose simili, esse sono raffigurate da me stesso. Forse posso anche stimarle tutte avventizie, o tutte innate, o tutte inventate da me; non ho ancora visto chiaramente la loro vera origine. 8. Ma qui bisogna investigare soprattutto su quelle idee che considero desunte da cose esistenti fuori di me: quale ragionamento mi induce a considerare tali idee corrispondenti a queste cose? Certo in primo luogo mi sembra che la natura mi insegni così. Inoltre constato che esse non dipendono dalla mia volontà, né da me stesso. Spesso infatti esse mi si presentano anche contro la mia volontà: per esempio sento il calore sia che lo voglia sia che non lo voglia, e quindi ritengo che quella sensazione o idea di calore giunga a me da una cosa diversa da me, cioè dal calore del fuoco vicino al quale sono seduto. Niente è più ovvio di questo: io giudico che è questa cosa e non qualcos'altro a immettere in me qualche cosa che le somiglia. 9. Vedrò ora se queste ragioni sono sufficientemente sicure. Quando affermo di essere ammaestrato dalla natura, in questo modo comprendo di essere portato a crederlo solo da un impeto spontaneo, e non che mi sia mostrato come vero da un qualche lume naturale. Ora queste due cose sono in grande contrasto tra loro, infatti tutto ciò che mi viene mostrato da un qualche lume naturale — ad esempio il fatto che proprio perché dubito ne consegue che io sono, e simili — in nessun modo può essere dubbio, perché non ci può essere nessun'altra facoltà nella quale possa confidare come in questo lume, e che possa mostrare che tutte queste cose non sono vere; ma quanto alle inclinazioni naturali, [39] già da gran tempo ho giudicato più volte che sono stato spinto da esse alla scelta peggiore quando si trattava di scegliere il bene, e non ho motivo di fidarmi ancora di esse in qualche altra cosa. 10. Quindi, sebbene quelle idee non dipendano dalla mia volontà, non è evidente che esse necessariamente procedano da cose poste fuori di me. Come infatti quelle inclinazioni di cui parlavo poco fa, sebbene siano in me, tuttavia appaiono diverse dalla mia volontà, così forse in me c’è anche una qualche altra facoltà non ancora da me abbastanza conosciuta, che provoca queste idee, come fino ad ora è sempre sembrato che esse si formino in me mentre sogno, e del tutto al di fuori di ogni contributo delle cose esterne. 11. Infine queste idee, per quanto procedano da cose diverse da me, non debbono essere necessariamente simili a questi oggetti. Ché anzi, in molti casi mi sembra di aver rilevato punti di vista molto diversi: ad esempio trovo in me due diverse idee di "sole", una come derivata dai sensi, che più di ogni altra deve essere annoverata tra le idee che ritengo avventizie, e che mi fa apparire il sole molto piccolo; un'altra desunta dai principi dell'astronomia, cioè derivata da alcune nozioni che sono innate in me (o da me prodotte in qualche altro modo) e che me lo fanno sembrare alquanto più grande della terra. Certo, non possono essere tutte e due equiparabili a quel medesimo sole che esiste fuori di me, e la ragione mi persuade che proprio quella che sembra essere derivata direttamente è la più difforme. 12. Tutto questo dimostra che sinora non in base [40] ad un giudizio sicuro, ma soltanto per un qualche cieco impulso, ho creduto che esistano alcune cose diverse da me, che facciano sorgere in me delle idee o la loro immagine attraverso gli organi di senso, o in qualche altro modo.
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