Peter B. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica
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Peter B. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica
Peter B. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica. Idee fondamentali, metodi e casi di studio, Apogeo, Milano, 2006.
Il testo si propone una sistematizzazione organica del discorso intorno al counseling filosofico, facendo il punto dell'attuale stato dell'arte e delle problematiche che attengono alla metodologia e alla codificazione in genere della disciplina.
Pur presentando il limite di fondarsi prevalentemente sulla letteratura anglosassone, Raabe riesce a fornire un quadro che abbraccia in senso generale tutti i punti principali di questa relazione di aiuto.
La trattazione, inoltre, viene accompagnata e rafforzata, di volta in volta, da serrati riferimenti testuali. In questo modo, però, l'autore limita il suo ruolo all'organizzazione degli argomenti, mentre la sua idea viene riservata in poche pagine, in special modo in quelle che riportano i suoi dettagliati casi studio, cui dedica una sezione apposita, e nella quale illustra gli stadi del suo processo di counseling filosofico.
Si tratta di passi non vincolanti, di linee guida per lo svolgimento del lavoro del consulente, ognuno dei quali può giovarsi di un approccio diverso non reciprocamente escludentesi con gli altri. Infatti, per Raabe, la maggioranza delle teorie, e molti degli approcci e dei metodi del counseling filosofico, possono essere conciliati. In altre parole, viene rigettata l'idea dell'applicazione di una regola uniforme, con un modello lineare o sequenziale, poiché non si può indicare un tragitto regolare nello svolgimento del ciclo di sedute, o di una singola seduta stessa, dal momento che lo stato d'animo del consultante subisce dei cambiamenti sostanziali.
Da qui, possiamo dire che il processo di counseling filosofico consiste di una serie fluida di transizioni che si possono accavallare, sovrapporre e disporre variamente, e che solo per comodità di esposizione possono essere schematizzati ordinatamente.
Dunque, possiamo identificare una prima fase, probabilmente la principale, di free-floating, fluttuazione, perché durante questo lavoro vengono determinati, flessibilmente, gli spazi del consulente e del cliente: il primo familiarizza con i bisogni e i desideri del cliente per indirizzare gli stadi successivi, il secondo, lasciato quasi completamente libero di esporre la sua problematica, acquisisce fiducia, senso di accoglimento da parte del consulente e ottiene un primo contatto con l'approccio. È un momento in cui il filosofo offre tempo, conforto e pone poche domande, rispondendo all'esigenza del cliente di parlare a lungo e liberamente (ottenendo simultaneamente un risultato, per ciò stesso, catarchico).
Si tratta di un tipo di ascolto molto particolare, «pieno di cura» che mira a rafforzare la relazione e la comprensione, attraverso un approccio empatico nel quale le vicende del cliente vengono messe in risonanza emotiva con le proprie, pur non perdendo mai il focus sul cliente.
Nel secondo dei momenti del processo di Raabe, il consulente aiuta il cliente a risolvere i più immediati problemi, mentre nel terzo viene esplicitata la portata di intenzionalità didattica dell'approccio di counseling filosofico che, insieme alla «trascendenza del discorso filosofico al di là della soluzione del problema immediato», all' «incremento dell'autonomia del cliente» e alla preventività e proattività (che vengono sviluppati nel quarto momento della relazione di consulenza), differenzia più nettamente il counseling filosofico rispetto ai numerosi metodi psicoterapici non psicoanalitici (le numerose terapie esistenziali, cognitive e comportamentali) i quali, secondo lo studioso tedesco rimangono, in un certo qual modo, sostanzialmente filosofici.
Nell'ultimo stadio, infine, il cliente viene aiutato nel conseguimento di una vita più consapevole e di una più ampia prospettiva (o, come dice Lahav, di un allargamento del “perimetro” e della cornice della sua storia), attraverso l'autocomprensione e il miglioramento delle capacità di ragionamento, raggiunte utilizzando strumenti concettuali, come il pensiero critico e creativo, tipici del lavoro filosofico. Lo specifico del counseling filosofico consiste, appunto, nel fatto di far partecipare il cliente a un'indagine filosofica (la sua) e aiutandolo, in un certo qual modo, a farsi filosofo, a divenire un piccolo consulente filosofico di se stesso. Infatti Lahav parla di “autoindagine” e la Schuster di “autodiagnosi”. Nondimeno, Gadamer stesso ritiene che la filosofia sia una sorta di propensione naturale dell'uomo che può essere migliorata con lo studio e la pratica, e non un costrutto teoretico o un esercizio accademico. Allo stesso modo, Raabe afferma che il counseling filosofico «è unione di persone e filosofia, vita e meraviglia» e, conseguentemente, non fa problema considerarla come terapia, nel senso ampio di therapeia, ossia come «servizio» che, anche se non a rigore terapeutico, deve essere terapeutico, non nel mero soddisfacimento dei desideri dei consultanti (non è questo l'obiettivo principale del counseling filosofico), quanto nell'accrescerne l'autonomia e agevolarli nel percorso di acquisizione della capacità di abbracciare la filosofia come stile e modo di vivere.
Anna Garofalo
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