II MEDITAZIONE (b)
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II MEDITAZIONE (b)
8. Ma che cosa sono dunque? Una cosa che pensa. E che cos'è essa? Certo una cosa che dubita, comprende, afferma, nega, vuole, disvuole, immagina anche e percepisce. 9. Tutto questo non è poco, se tutto questo mi riguarda. Ma perché non mi dovrebbe riguardare? Non sono proprio io che dubito quasi di tutto, ma che tuttavia comprendo qualcosa, che affermo solo questo come vero e nego tutte le altre cose, che desidero sapere di più, che non voglio essere ingannato, che mi creo tante immaginazioni pur non volendo, e avverto molte altre cose come se venissero dai sensi? Che cosa c'è tra queste cose [29] che non sia vero allo stesso modo che il fatto che io sono, sebbene dorma sempre, sebbene anche colui che mi ha creato, per quanto è in suo potere, mi inganni? Che cosa c'è che può essere diviso dal mio pensiero? Cosa c'è che si possa dire separato da me stesso? Infatti è tanto manifesto che sono io che dubito, che comprendo, che voglio, che non c'è bisogno di altro con cui ciò si possa spiegare più chiaramente. Ed anche sono io stesso che immagino. Infatti anche se, come ho supposto, nessuna cosa immaginata sia vera, tuttavia la forza stessa dell'immaginare esiste realmente, e fa parte del mio pensiero. Infine sono io stesso che sento, oppure che avverto le realtà corporee come attraverso i sensi; ad esempio vedo la luce, odo i rumori, avverto il calore. Ma queste apparenze sono false; infatti dormo. Ma sicuramente mi sembra di vedere, di udire, di provare caldo. Questo non può essere falso; questo è propriamente ciò che in me si chiama sentire; e questo, così precisamente preso, non è null'altro che pensare. 10. Da tutte queste considerazioni dunque comincio a capire alquanto meglio chi mai io sia. Ma tuttavia sembra ancora che le realtà corporee, le cui immagini si formano per mezzo del pensiero, e che gli stessi sensi esplorano, possano essere conosciute in maniera molto più distinta di quel nonsoché di me che non cade sotto la mia immaginazione — sebbene certamente sia strano che quelle cose che avverto come dubbie, ignote, diverse da me, vengano comprese da me in maniera più distinta di ciò che è vero, che è in ultima istanza conosciuto sul conto di me stesso. Ma vedo cosa accade: la mia mente gode di smarrirsi e non sopporta di essere trattenuta dentro i confini della verità. Sia pure dunque così, e lasciamole ancora una volta le briglie il più lente possibile [30], perché, quando poco dopo tiriamo di nuovo le redini in maniera opportuna, sopporti più facilmente di essere guidata. 11. Consideriamo quelle cose che generalmente si ritiene vengano comprese nella maniera più distinta: cioè i corpi che tocchiamo, che vediamo; non certo i corpi comunemente intesi — infatti queste percezioni generali sogliono essere alquanto più confuse — ma uno in particolare. Prendiamo, ad esempio, questa cera: da pochissimo è stata presa dai favi; non ha ancora perso ogni traccia del sapore del miele; conserva ancora un qualche profumo dei fiori dai quali è stata raccolta; il suo colore, la sua figura, la sua grandezza sono manifeste; è dura, è fredda, si tocca facilmente, e, se la tocchi con un dito, emetterà un suono; sono presenti in essa tutte quelle qualità che ci sembra debbano esserci perché un corpo possa essere conosciuto nella maniera più distinta. Ma ecco, mentre parlo, viene avvicinata al fuoco; vengono eliminati i resti del sapore, evapora l'odore, muta il colore, vengono eliminati i contorni, cresce la grandezza, diviene liquida, diviene calda, a stento si può toccare né, se la tocchi, emetterà un suono. È sempre la stessa cera? Bisogna dire di sì; nessuno lo nega, nessuno crede diversamente. Che cosa era dunque in essa che si percepiva tanto distintamente? Certo nessuna di quelle cose che raggiungevo coi sensi, e infatti tutto ciò che veniva percepito dal gusto, dall'odorato, dalla vista, dal tatto o dall'udito è mutato; rimane comunque cera. 12. Forse era quello che penso ora: che la cera stessa cioè non fosse questa dolcezza del miele, né quella fragranza dei fiori, né il colore bianco, né la figura, né il suono, ma un corpo che poco fa mi appariva evidente in quei modi, ed ora in forme diverse. Cosa è dunque precisamente questo che immagino così? [31] Consideriamo attentamente e, eliminato tutto ciò che non riguarda la cera, vediamo quel che rimane: certo null'altro che qualcosa di esteso, flessibile, mutevole. Che cosa è poi questo che è flessibile e mutevole? Forse quello che immagino, che questa cera si possa cambiare dalla figura rotonda in quadrata, o da questa si possa cambiare in triangolare? Per nulla. Infatti comprendo che può essere capace di innumerevoli mutazioni di tale tipo, ma non posso tuttavia con l'immaginazione passare in rassegna tutti questi infiniti cambiamenti; né dunque questo concetto può essere raggiunto mediante l'immaginazione. Che cosa è l'estensione? Forse non è la stessa estensione sconosciuta? Infatti nella cera che si sta liquefacendo è maggiore, maggiore quando ribolle, e più grande ancora se aumenta il calore; né giudicherei bene che cosa è la cera, se non pensassi che essa può raggiungere anche varietà molto più numerose, riguardo all'estensione, di quanto possa mai concepire con la mia immaginazione. Rimane dunque che io ammetta che non posso nemmeno immaginare cosa sia questa cera, ma posso coglierlo soltanto con la mente, e dico di questa che ho qui in particolare; della cera comunemente intesa, infatti, è più chiaro. Che cosa è dunque questa cera, che non si comprende se non con la mente? Certo la stessa che vedo, che tocco, che immagino, ed infine la stessa che pensavo essere all'inizio. Eppure, cosa che è da notare, la sua percezione non dipende dalla vista, non dal tatto, non dalla immaginazione, e non lo fu mai, sebbene prima sembrasse così, ma solo da una investigazione della mente, che può essere imperfetta e confusa, come era prima, o chiara e distinta, come è ora; a seconda che più o meno mi avvicini con l'attenzione a quelle cose dalle quali è formata. 13. Ma mi stupisco, frattanto, di quanto la mia mente possa cadere nell'errore. Infatti sebbene consideri tutto ciò in silenzio e senza [32] esprimere alcun suono, tuttavia rimango attaccato alle stesse parole, e quasi sono ingannato dallo stesso uso della lingua. Diciamo infatti di vedere la cera stessa, se è qui presente, ma non di giudicare che essa esiste in relazione al colore e alla figura. In base a questo concluderei subito: dunque la cera viene conosciuta attraverso la vista, e non dall'esame della mente se per caso non avessi già scorto da una finestra degli uomini che passano per la piazza; e affermo di vedere proprio degli uomini in base alla consuetudine, allo stesso modo di ciò che affermo a proposito della cera. Ma che cos'altro vedo se non berretti e vesti, sotto i quali potrebbero nascondersi degli automi? Ma giudico che siano degli uomini. E quindi quello che pensavo di vedere con gli occhi in realtà lo comprendo con la sola facoltà di giudizio, che è nella mente. 14. Ma si vergogni piuttosto colui che, desiderando essere più sapiente del volgo, trova materia di dubbio dalle forme di parlare che il volgo usa. Proseguiamo dunque oltre e consideriamo: forse io percepivo cosa fosse la cera in maniera più perfetta e più evidente, non appena l'ho vista, ed ho creduto di poterla conoscere proprio con i sensi esterni o almeno con quello che chiamano senso comune, cioè con la potenza dell'immaginazione? oppure la conosco meglio adesso, dopo aver investigato con maggior diligenza sia cosa essa sia, sia come viene conosciuta? Certo, sarebbe ridicolo dubitare di questo; infatti cosa c'è stato di distinto in quella prima percezione? che cosa che non potesse essere colto da qualsiasi animale? Ma poi, quando distinguo la cera dalle sue forme esterne e la considero nuda, come se fosse spogliata dalle sue vesti, sebbene ancora ci possa essere un errore nel mio giudizio, tuttavia in realtà non lo posso cogliere senza l'attività della mente umana. 15. [33]Che cosa dunque dovrei dire di questa stessa mente, o piuttosto di me stesso? Ed infatti fin qui non ammetto che in me ci sia null'altro che la mente. Che cosa sono io — dico a questo punto — che sembro percepire in maniera tanto distinta questa cera? Non conosco forse me stesso non soltanto con molta maggiore verità e con molta maggiore certezza, ma anche in maniera più distinta ed evidente? Infatti, se giudico che la cera esiste per il fatto che la vedo, certo ne consegue in maniera molto più evidente che esista anche io stesso per il fatto che la vedo. Può infatti accadere che ciò che vedo non sia veramente cera; può accadere allo stesso modo che io non abbia neppure occhi con cui vedere qualcosa; tuttavia, quando vedo — o piuttosto, cosa che non distinguo più, quando penso di vedere — è assolutamente impossibile che quell'io stesso che pensa non sia qualcosa. Allo stesso modo, se giudico che la cera esiste per il fatto che la tocco, si verificherà la stessa condizione, e cioè che io sono. O per il fatto di immaginarla o per qualsiasi altra causa, avviene sempre la stessa cosa. Ma questa verità che ho raggiunto riguardo alla cera, la si può applicare a tutte le altre cose che sono poste fuori di me. Ordunque, se la percezione della cera è sembrata più distinta dopo che mi si è presentata, e non solo ad opera della vista e del tatto, ma per più cause, quanto più distintamente bisogna ammettere che io possa essere conosciuto da me stesso, dal momento che tutte le ragioni che possono servire alla percezione della cera o di qualsiasi altro corpo dimostrano ancor meglio la natura della mia mente! Ma nella stessa mente si trovano ancora tante di quelle cose che possono contribuire a chiarirne la natura, che quelle che vanno dal corpo alla mente non meritano nemmeno di essere indicate. 16. Ed ecco, infine, che spontaneamente sono tornato a quello a cui [34] volevo giungere. Infatti, poiché ora mi è noto che gli stessi corpi non sono percepiti propriamente dai sensi, o dalla facoltà dell'immaginazione, ma rappresentati dal solo intelletto, e non vengono percepiti per il fatto che sono toccati o veduti, ma soltanto per il fatto che sono compresi, conosco apertamente che nulla può essere rappresentato da me in maniera più facile ed evidente della mia mente. Ma dal momento che la consuetudine con una antica opinione non può essere abbandonata tanto presto, mi piace fermarmi qui, perché questa nuova conquista della mente si possa imprimere nella mia memoria grazie ad una durevole meditazione.
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